Il turismo spaziale avrà presto bisogno di hotel con le stelle tra le stelle. E questa ulteriore tappa della privatizzazione dello spazio potrebbe essere raggiunta nel 2027 ad opera della Orbital Assembly Corporation, una società che si prefigge di progettare e costruire piattaforme in grado di ospitare persone nello spazio e che – come recita la presentazione dell’azienda californiana con sede ad Alta Loma – permettono “alla società di lavorare, giocare e prosperare nell’ecosistema spaziale”.
Il ragionamento della Oac è lapalissiano: se lo spazio sarà frequentato in modo sempre più frequente e per periodi sempre più lunghi da persone per il proprio piacere, non basteranno i veicoli spaziali di SpaceX, Blue Origin e Virgin né tantomeno parcheggiarle all’interno di una stazione spaziale facendo loro vivere tutti i sacrifici e le privazioni ai quali sono sottoposti gli astronauti. Bisognerà invece offrire loro strutture ricettive e residenziali adeguate. A teorizzarlo è Frank White, consulente di Oac e autore di “The Ovierview Effect: Space Exploration and Human Evolution”, un libro che nel 1987 analizza il futuro del genere umano attraverso le testimonianze di 30 astronauti, allora unici testimoni diretti della cosiddetta “visione di insieme” del nostro pianeta.
La soluzione tecnica offerta da Orbital Assembly Corporation è una stazione ribattezzata Voyager: una grande ruota panoramica da 200 metri di diametro che staziona a 400 km dalla superficie terrestre e nel cui anello esterno sono ricavati 24 moduli da 1.809 m3 di volume, in grado di offrire tutti i comfort di un hotel stellato, compresi l’alta cucina, la spa e persino suite e villini, ma anche punti di appoggio per attività di ricerche ed eventi. Una vera e propria via di mezzo tra un villaggio vacanza, un centro residenziale e una nave da crociera dotata di una superficie utile di 11.600 m2, in grado di ospitare fino a 440 persone ed equipaggiata sia di 44 navicelle di salvataggio in caso di emergenza sia di un sistema di protezione contro i detriti spaziali.
La stazione è alimentata con i 2,2 MW prodotti da 9.738 m2 di pannelli solari ed è in grado di riprodurre un sesto della gravità terrestre mentre il “mozzo” centrale di questo Prater cosmico funge sia da ponte di attracco per le navicelle che porteranno i clienti di questa esclusiva struttura, sia come punto dove sperimentare l’assenza totale di gravità. Nel centro della stazione, collegato all’anello esterno attraverso 4 bracci, Oac immagina di ospitare pure il centro operativo, anche se tutte le operazione di arrivo e partenza saranno gestite in modo totalmente automatico. Oac vede nel progetto Voyager anche altri sviluppi, uno dei quali è farne una gigantesca stazione di rifornimento per le missioni dirette nello spazio, magari ospitando anche bar e motel, un po’ come le nostre stazioni di servizio sulla rete autostradale.
Oac ha in cantiere anche un altro progetto denominato Pioneer, concepito come una stazione orbitale polifunzionale per ospitare da 14 fino a 56 persone anche per lunghi periodi. La filosofia è sempre la stessa: struttura ad anello e riproduzione parziale della gravità. Per verificare la fattibilità di questo concetto, la società californiana nel 2023 metterà in orbita il Gravity Ring che sperimenterà, in scala ridotta – pesa solo 11 kg – le ipotesi che saranno applicate a Pioneer e a Voyager. Per la loro costruzione, la società di Alta Loma ha sviluppato un sistema modulare telerobotico denominato Star (Station Truss Assembly Robot) completamente automatizzato. Per provarne l’efficacia, è stata già allestita una linea pilota dove Star è stato capace di assemblare, mettendo insieme moduli cubici da 2 metri di lato, una struttura lunga 78 metri e oltre 6 tonnellate di massa in meno di 24 minuti.
Voyager è particolarmente ambizioso: finalizzare un progetto da 200 miliardi di dollari in 6 anni è una sfida dal punto di vista finanziario, progettuale e anche di mercato non da poco. Eppure la Orbital Assembly Company ha annunciato di essere in linea con i tempi e ha cominciato a vendere i pacchetti prevedendo di poter offrire, a “soli” 5 milioni di dollari, tre giorni di esperienza spaziali, viaggio di andata e ritorno compresi. Un punto di partenza dal quale partire per tutti coloro che vorranno lanciarsi, con un business plan credibile, in questo nuovo segmento di mercato della Space Economy.