L’italiana D-Orbit è l’unica azienda al mondo ad avere nello Ion (In-Orbit-Now) un veicolo di trasferimento orbitale e questo la pone in una posizione di vantaggio nel mercato emergente della logistica spaziale dell’ultimo miglio e del cosiddetto rideshare.
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Soli, ma solo per poco…
E quanto dichiarato a SpaceNews da Renato Panesi, fondatore e chief commercial officer dell’azienda di Fino Mornasco (CO) che dovrà presto fronteggiare numerosi concorrenti, anzi numerosissimi. Se infatti al momento vi sono almeno 12 società che stanno progettando, sviluppando o testando un veicolo per trasferimento orbitale, il rapporto Space Logistics Markets di Euroconsult prevede che sul mercato nel 2031 vi saranno 120 di questi dispositivi necessari anche al più piccolo satellite, una volta ottenuto un passaggio nello spazio, per raggiungere la propria orbita e diventare operativo.
I fondi di Esa per potenziare Ion
Dal canto suo la D-Orbit, ha già portato in orbita complessivamente oltre 80 payload (dei quali 60 satelliti) dal 2020 in sei voli e si appresta ad accelerare visto che la metà sono stati eseguiti nella prima fase del 2022 e altri sei sono in programma entro la fine dell’anno. Inoltre, con i quasi 2 milioni di fondi ricevuti recentemente da Esa, l’azienda italiana potrà potenziare e affinare i sistemi produttivi del suo Ion in modo da farne di più, in modo più economico e con standard qualitativi e di sicurezza superiori. Un’ulteriore spinta a ridurre i costi della space economy e ad aumentare l’accessibilità verso lo spazio.
L’integrazione verticale dei servizi
La D-Orbit ha però altri punti di forza tra cui l’ambizione di fornire altri servizi ‘tutto compreso’ per lo spazio che spaziano dalla rimozione dei detriti al cloud computing, senza contare la manutenzione. “L’idea è di prendersi cura del percorso del cliente dall’analisi della missione fino al lancio e alla disattivazione” ha affermato Panesi lasciando intendere che, se è vero che le grandi società spaziali stanno puntando alla piena integrazione verticale dei prodotti, un’azienda come la D-Orbit può invece puntare all’integrazione verticale dei servizi come l’ispezione, il rifornimento, le piccole riparazioni e anche la rimozione dei detriti, ma non solo. “Nel futuro – ha concluso il manager italiano vediamo un reale potenziale di mercato per il riciclo e la fabbricazione in orbita”.
L’apporto per Space Rider
Un perfetto esempio di questa filosofia aziendale è il rapporto stabilitosi lo scorso aprile con Beyond Gravity per la fornitura di strumenti in polimeri rinforzati con fibra di carbonio e parti strutturali metalliche per la navicella Space Rider di Esa il cui principale contraente è Thales Alenia Space. Lo Space Rider provvederà a portare payload scientifici e sperimentali in bassa orbita e al loro successivo rientro sulla Terra dove avranno bisogno di essere riparati, manutenuti, riforniti e infine caricati per il volo successivo. Per questo Panesi definisce lo Space Rider “perfettamente in linea con la nostra visione di permettere un business profittevole e l’espansione umana in uno spazio sostenibile”.
Il cloud computing è già in preparazione
Il prossimo passo di D-Orbit sarà equipaggiare i propri Ion di dispositivi per il cloud computing e di interconnessione in modo da avere “una piccola costellazione formata da nodi di elaborazione dei processi”. I primi passi in questa direzione sono stati già compiuti nel 2021 provando su uno Ion un modulo di elaborazione resistente alle radiazioni fornito dalla svedese Unibap. Il prossimo passo, che avverrà tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, sarà sperimentare connessioni intra satellitari attraverso sistemi ottici e frequenze radio.
La crescita aziendale guarda al Nordamerica
Sviluppi dunque che hanno bisogno di capitali che dovrebbero essere assicurati attraverso la fusione con Breeze Holdings, da finalizzare entro il terzo quarto del 2022, e la seguente quotazione a New York. L’obiettivo è di guadagnare forza finanziaria e quote sul mercato nordamericano dove tuttavia la D-Orbit è già presente con una sede a Falls Church, nello stato della Virginia. Al momento, la società comasca ha anche altre sedi in Portogallo e Regno Unito impiegando complessivamente circa 200 collaboratori.