RICERCA SCIENTIFICA

Salute degli astronauti: al via due esperimenti italiani sulla Stazione spaziale



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Finanziati dall’Asi, sono il progetto Iris, che monitorerà in tempo reale la quantità di radiazioni ricevute dall’equipaggio, e Drain Brain 2.0, per la misurazione non invasiva di parametri cardiovascolari. Coinvolte l’Infn TtLab e università di Bologna e Ferrara

Pubblicato il 17 mar 2025



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Con l’arrivo della capsula SpaceX Crew-10 sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), si avviano due nuovi esperimenti finanziati dall’Agenzia spaziale italiana (Asi). I loro nomi sono Iris e Drain Brain 2.0 e saranno indossati e sperimentati da astronauti internazionali.

Non è la prima volta che esperimenti italiani sono effettuati sulla Iss da astronauti che non appartengono al nostro Paese. Questo privilegio deriva da accordi presi con la Nasa nel lontano 1997 per la fornitura di tre moduli pressurizzati utilizzati per il trasporto di materiali da e per la Stazione spaziale.

Sperimentazione scientifica

“La sperimentazione scientifica sulla Iss rappresenta un filone di ricerca importante per l’Asi, che finanzia e gestisce da oltre 20 anni progetti per lo studio della fisiologia umana in ambienti ostili e per l’individuazione delle possibili contromisure a protezione degli astronauti – commenta Barbara Negri responsabile ufficio volo umano e sperimentazione dell’Asi -. I risultati che si otterranno con i due progetti Iris e Drain Brain 2.0 contribuiranno ad aumentare la conoscenza dell’ambiente radiativo in cui operano gli astronauti e forniranno indicazioni sull’adattamento del sistema cardiovascolare in condizioni di microgravità. L’ambiente ostile, la lunga durata del viaggio e le radiazioni cosmiche sono fra i principali ostacoli che gli astronauti dovranno affrontare per voli di lunga durata verso la Luna o Marte”.

Studio delle radiazioni

Iris è realizzato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – TtLab insieme all’Università di Bologna ed ha come obiettivo quello di monitorare in tempo reale la quantità di radiazioni ionizzanti ricevute durante le attività quotidiane dagli astronauti.

Materiali innovativi

“L’esplorazione umana dello Spazio è una delle sfide e imprese più affascinanti, un motore potente per stimolare e sviluppare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica. – spiega Beatrice Fraboni, principal investigator del progetto e docente del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Bologna – Grazie all’impiego di materiali innovativi (semiconduttori organici e perovskiti) tali sensori sono stati fabbricati con comuni processi di stampa su substrati non convenzionali, quali plastica o tessuti, realizzando rivelatori ultrasottili e flessibili.

“Il volume ed il peso estremamente ridotto, uniti alla bassissima potenza di alimentazione richiesta, offrono un ulteriore significativo vantaggio per il payload delle missioni e per la sicurezza dell’equipaggio spaziale, che potrà indossarli impercettibilmente per tutto il tempo di permanenza in habitat extraterrestre, prevedendo un futuro monitoraggio in-situ dell’esposizione di organi particolarmente delicati”, aggiunge Fabroni.

Efficace esplorazione spaziale

Per consentire una sicura ed efficace esplorazione spaziale umana, non possiamo tuttavia limitarci a mitigare gli effetti delle radiazioni sugli astronauti, ma dovremo estendere lo studio a tutti gli strumenti a supporto della vita nello spazio (come per esempio piante, cibo, medicine) – conclude Fraboni – Grazie agli studi effettuati fino ad oggi è stato possibile raggiungere traguardi impensabili qualche decennio fa, ma ancora tanta stimolante ricerca ci aspetta per poter rendere sempre più sicura l’esplorazione umana nello Spazio”.

Progetto Drain Brain 2.0

Il secondo esperimento è il progetto “Drain Brain 2.0” realizzato con la collaborazione dell’Università di Ferrara. Durante la missione, gli astronauti indosseranno uno strumento progettato per rilevare e monitorare in modo non invasivo alcuni importanti parametri per la salute cardiovascolare.

Monitoraggio del cuore

“Lo strumento diagnostico realizzato con i fondi Asi, è uno speciale pletismografo, – spiega il principal investigator Paolo Zamboni, professore del Dipartimento di medicina traslazionale e per la Romagna e direttore del Centro delle malattie vascolari dell’ateneo ferrarese – cioè un sensore sottilissimo a forma di collarino che può essere facilmente indossato da tutte/i gli astronauti a bordo e che è sincronizzato con l’elettrocardiogramma. Questo strumento permette di rilevare a distanza i segnali di flusso nella vena giugulare e nel’arteria carotide, i vasi principali del cosiddetto asse cuore-cervello. Con gli astronauti in orbita, potremo analizzare il loro adattamento fisico alla nuova situazione, in assenza di peso. Va considerato che a oggi i problemi cardiovascolari e neurologici dovuti alo stato di microgravità e ai fenomeni di adattamento sono tra i primi ostacoli alla possibilità di prolungare i voli spaziali al di sopra dei sei mesi”.

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