LA RUBRICA ASI

Chi è Stefano Polato, lo chef stellare che porta in orbita la cucina “verticale”



Indirizzo copiato

Il percorso nasce nel 2012 da una telefonata con Samantha Cristoforetti e alcune ricette inviate nell’arco di una notte per “rinnovare” il menù a bordo delle missioni spaziali. Poi la collaborazione con la missione Futura di Esa. “Punto a comunicare attraverso il cibo i concetti di sana e corretta alimentazione”

Pubblicato il 23 lug 2024



Stefano_Polato
credit: Stefano Polato

È il 2012 quando Stefano Polato, chef al ristorante “Campiello” di Monselice, in provincia di Padova, riceve una telefonata insolita. A chiamare è Samantha Cristoforetti, che si sta addestrando per la sua prima missione sulla Stazione Spaziale Internazionale e chiede a Polato qualche idea su possibili nuove ricette da portare con sé. Le proposte, mandate nel giro di una notte, piacciono. E così Stefano Polato viene inserito dall’Agenzia Spaziale Europea come chef nella missione Futura, che due anni più tardi avrebbe portato la prima donna italiana nello spazio.

I primi anni di studio

Sono due anni intensi per lo chef spaziale. Classe 1981, Stefano Polato ha un approccio alla cucina caratterizzato da innovazione e tanto, tanto studio. Dopo una laurea in Beni Culturali inizia a formarsi come cuoco, avvicinandosi anche al mondo nutrizionale e vivendo l’esperienza del cibo a 360 gradi. Mette così a punto un metodo chiamato ‘cucina verticale’ e basato sui pilastri di un’attenta scelta, preparazione e conservazione del cibo. Approccio che trasporta anche nella cucina spaziale, mettendo a punto per Samantha Cristoforetti piatti innovativi ed estremamente completi dal punto di vista nutrizionale.

I principi della sana e corretta alimentazione

“Nel mio percorso ho capito che manipolare il cibo non significa soltanto dare da mangiare a delle persone – racconta Polato – ma anche comunicare attraverso il cibo i concetti di sana e corretta alimentazione. Il cuoco ha una certa responsabilità, oltre a quella di appagare il palato: la responsabilità legata al benessere e alla salute di chi si siede a tavola. Samantha Cristoforetti chiese il mio numero perché sapeva che come cuoco mi stavo formando anche su nutraceutica, nutrigenomica e nutrizione etica, e quindi mi ha voluto conoscere. Da lì mi si è aperto un mondo, il mondo spaziale”.

La collaborazione con Argotech

Il primo passo per entrare in questo mondo è, ancora una volta, lo studio. E la carta vincente è l’unione di diversi saperi: Polato impara i segreti dell’alimentazione in microgravità grazie anche alla collaborazione con l’azienda di ingegneria spaziale torinese Argotec.

La missione Futura

“Mi sono trovato come nelle migliori barzellette: ci sono un astronauta, un ingegnere, un tecnologo… E poi alla fine c’è un cuoco che cerca di mettere tutti d’accordo. Ma quella con Argotec è stata l’alleanza perfetta: loro già avevano un approccio lavorativo ingegneristico, e mi hanno aiutato a portarlo in cucina. Il cibo spaziale è infatti un cibo ingegnerizzato, molto studiato, dove ogni passaggio dev’essere attentamente monitorato. Le tecniche principali che abbiamo utilizzato sono la termostabilizzazione, ovvero il trattamento a caldo del prodotto in modo tale da abbattere la carica batterica, e la disidratazione, sia essa liofilizzazione oppure ossidazione”.

“Oggi ci sono anche strumenti che permettono di aumentare la pressione diminuendo la temperatura, riuscendo così a salvaguardare i micronutrienti che sarebbero invece danneggiati da temperature eccessivamente alte. Ma, nonostante esistano standard assodati da decenni nella cucina spaziale, c’è anche la possibilità di testare soluzioni innovative per garantire sempre più la qualità del prodotto. Infatti lo space food deve anche e soprattutto essere appagante, e il più vicino possibile a un cibo appena fatto. Il primo problema che possono incontrare gli astronauti è l’inappetenza, e per questo dobbiamo offrire un cibo sano e buono”.

Una nuova concezione di space food

Si tratta di un binomio che, secondo Stefano Polato, qui sulla Terra in molti casi è ancora difficile da combinare. “È un pregiudizio che deriva dagli errori che nel corso degli anni sono stati fatti dal mondo dell’industria, che spesso ha proposto un modello di alimentazione negativamente impattante. E invece gusto e qualità del prodotto possono e devono viaggiare insieme. Da questo punto di vista, gli studi fatti per il cibo spaziale insegnano molto”.

Il “bonus food” a bordo

In effetti, il menu stellato di Samantha Cristoforetti può essere di ispirazione anche per noi terrestri. Il cosiddetto bonus food, ovvero il cibo spaziale che gli astronauti europei possono portare sulla Iss per completare l’alimentazione fornita da Houston, per la missione Futura di AstroSamantha prevedeva un’ampia scelta. Tra i piatti messi a punto da Stefano Polato, un’insalata di quinoa, sgombri, pomodori e zucchine, una zuppa di legumi, riso integrale con pollo alla curcuma e verdure, asparagi disidratati croccanti, smoothie al gusto di pera, mela e fragola, barrette biologiche con bacche di goji, cioccolato e spirulina.

I segreti della zuppa di legumi

Abbiamo chiesto allo chef di raccontarci una ricetta spaziale a cui fosse particolarmente affezionato. «La zuppa di legumi. Sembra un piatto banale, che si può trovare anche al supermercato, e invece dietro può esserci un mondo. Noi abbiamo lavorato in collaborazione con Slow Food e con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. L’incontro con il mondo della gastronomia, anche a livello universitario, mi ha permesso di approfondire lo studio della materia prima. Siamo andati a cercare quei legumi che avessero un profilo amminoacido perfetto, un’alta digeribilità e una buccia sottile, un quantitativo determinato di carboidrati e una sapidità intrinseca di carattere naturale».

La missione dell’Agenzia Spaziale Italiana Futura, lanciata il 23 novembre 2014 e durata 199 giorni, ha quindi visto Samantha Cristoforetti sperimentare anche una nuova forma di alimentazione spaziale, la cui eredità è stata raccolta dalle missioni successive. Ad oggi, Stefano Polato ha nutrito quattro astronauti europei: Samantha Cristoforetti (per entrambe le sue missioni, nel 2014 e la più recente nel 2022), Luca Parmitano, Paolo Nespoli e Andreas Mogensen. E non ha mai smesso di accettare nuove sfide.

Dalla Terra allo Spazio… e ritorno

La più recente? Riportare sulla Terra il sapere accumulato cucinando per l’orbita bassa. Insieme a Sara Rocci Dennis, ingegnera aerospaziale, ha fondato Eat Freedom, azienda che punta a portare cibo sano e buono in ambienti estremi del nostro pianeta. Non poi così diversi dall’ambiente spaziale.

“Eat Freedom – spiega Polato – nasce dalla passione di Sara per l’alta quota. Prendendo spunto dalla cucina spaziale, abbiamo cercato di realizzare dei piatti che fossero adatti, ad esempio, a chi va in spedizione sull’Himalaya, che dal punto di vista nutrizionale ha esigenze affini a quelle degli astronauti. E stiamo lavorando per portare questo progetto in altri ambiti, come quello speleologico o artico”.

Le prospettive

Senza mai dimenticare lo spazio. Polato continua a seguire da vicino le evoluzioni del settore spaziale, guardando alle future missioni di lunga durata verso la Luna e, un giorno, verso Marte. «Pur senza mai smettere di innovare, nel futuro del cibo spaziale io vedo anche un ritorno alle origini. Paradossalmente, su Luna e Marte dovremo tornare alla preistoria, per creare una filiera alimentare spaziale sostenibile cercando di non commettere gli errori che abbiamo fatto e che continuiamo a fare qui sulla Terra».

Articoli correlati

Articolo 1 di 2