Il 10 febbraio 2020, Solar Orbiter, la missione dell’Esa dedicata allo studio del Sole, era pronta per il lancio presso il centro Nasa di Cape Canaveral. I team dei dieci strumenti scientifici di bordo avevano speso molti mesi a pianificare nei minimi dettagli tutte le procedure di accensione e le attività di verifica degli stessi che si sarebbero svolte nelle settimane successive. Questa fase, in gergo detta “commissioning”, è quella fase in cui gli strumenti scientifici vengono accesi per la prima volta dopo il lancio per verificarne la funzionalità e prepararli alla fase scientifica. È una fase molto delicata in cui non di rado si deve far fronte ad imprevisti tecnici di varia natura, mettendo il team sotto pressione.
Tutto deve essere pertanto svolto seguendo procedure ben collaudate e, nel caso di Solar Orbiter, secondo tempistiche molto stringenti, vista l’urgenza di completare il processo prima che il satellite si allontanasse troppo dalla Terra, cosa che avrebbe limitato la capacità di comunicare con lo stesso e scaricare a Terra tutti i dati scientifici e di telemetria necessari alla corretta messa a punto degli strumenti.
Tuttavia, quel 10 febbraio, mentre con un lancio da manuale Solar Orbiter prendeva una traiettoria che lo avrebbe portato ad una distanza ravvicinata dal Sole su un’orbita molto ellittica intorno alla nostra stella, nessuno avrebbe mai immaginato che di lì a poco tutti i piani sarebbero stati stravolti.
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Cosa è successo
In condizioni normali, la procedura per la prima accensione e verifica funzionale di ognuno degli strumenti scientifici a bordo di Solar Orbiter avrebbe richiesto la presenza dei relativi team presso la sede del centro operazioni dell’Esa, a Darmstadt in Germania. Tra questi, il team dello strumento italiano Metis, uno strumento dedicato allo studio degli strati più esterni dell’atmosfera solare con una risoluzione spaziale e temporale senza precedenti. Non sarebbe stato così e, con l’Italia che per prima tra i partner del programma si trovava alle prese con i primi focolai di Covid-19, il team italiano sarebbe stato il primo a dover far fronte a questa circostanza imprevista.
Il ruolo di Metis
Il 28 febbraio 2020, infatti, quando Metis doveva essere acceso per la prima volta, il team italiano che doveva recarsi presso il centro operazioni dell’Esa era stato decimato a causa delle prime restrizioni per il contenimento dell’epidemia. Ciò aveva causato notevoli difficoltà in quanto persone fondamentali per l’esecuzione delle procedure, l’invio dei telecomandi allo strumento e l’analisi della telemetria e dei dati scientifici ricevuti a Terra, erano state costrette a dare il proprio supporto telefonicamente, vista l’impossibilità in quel momento di accedere ai dati di telemetria che provenivano in temporeale dallo strumento in volo. Tutte le procedure che erano state pianificate attentamente per mesi erano state completamente ripensate nel giro di pochissime ore.
Lo stesso team Asi Solar Orbiter, che inizialmente avrebbe dovuto seguire direttamente le operazioni e raggiungere il team scientifico presso la sede Esa di Darmstadt, si era visto costretto ad annullare il proprio programma di viaggio a solo poche ore dalla partenza, e in considerazione delle raccomandazioni emanate dalle autorità sanitarie. Quel giorno, grazie alla grande preparazione e competenza del team scientifico italiano e del team Esa incaricato di assistere le operazioni, tutte le procedure e i test di verifica avrebbero dato esito positivo. Metis si era acceso correttamente, e i dati acquisiti e trasmessi a Terra erano più che soddisfacenti. Una soddisfazione doppia se si pensa alle modalità con le quali si erano svolte le attività.
Il problema si allarga
Questa situazione, che inizialmente appariva essere un problema limitato al solo team italiano, nel giro di poche settimane si sarebbe purtroppo estesa anche ad altri team europei, fino alla chiusura temporanea del centro operazioni dell’Esa a Darmstadt. Si era passati quindi improvvisamente ad una situazione mai sperimentata prima e del tutto incerta, e alla necessità di rivedere interamente e rapidamente il piano di commissioning di tutti gli strumenti di bordo secondo una modalità “in remoto” del tutto nuova e mai sperimentata.
Le settimane e i mesi successivi hanno messo duramente alla prova i team e costretto i responsabili scientifici a riprogrammare le attività giorno per giorno, adattandosi al rapido evolversi della situazione e talvolta, purtroppo, all’indisponibilità momentanea di figure chiave del proprio team colpite dal Covid-19.
Solar Orbiter raggiunge gli obiettivi
Tuttavia, quei mesi concitati e di grande tensione per i team non hanno impedito il raggiungimento degli obiettivi previsti. Solo pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, nel luglio 2020, Esa rilasciava le prime immagini scientifiche ottenute dagli strumenti a bordo di Solar Orbiter. Quelle primissime immagini testimoniavano non solo la validità scientifica degli strumenti di bordo stessi, ma anche la grande preparazione e competenza di tutti i tecnici e degli scienziati coinvolti nella missione che avevano permesso di raggiungere quel risultato, con delle modalità impensabili prima.
A distanza di quasi quattro anni, Solar Orbiter ha ottenuto e continua ad ottenere importanti risultati scientifici permettendoci di osservare il Sole da una distanza ravvicinata pari a solo un terzo della distanza Terra-Sole. Un punto d’osservazione privilegiato che ci consente di osservare i processi dinamici dell’atmosfera del Sole come mai prima d’ora e di comprendere sempre meglio in che modo la nostra stella controlli le condizioni fisiche dello spazio interplanetario con effetti, quali ad esempio le tempeste geomagnetiche, misurabili anche a Terra.
Articolo tratto da Spazio2050, rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana