La prima astronauta donna europea a camminare nello spazio è stata l’italiana Samantha Cristoforetti. Chi, in quel pomeriggio estivo del 21 luglio, ha seguito la storica passeggiata spaziale, ricorderà l’attività principale di AstroSamantha, svolta insieme al collega russo Oleg Artemyev: rilasciare nello spazio 10 nanosatelliti. Già, perché la Stazione Spaziale Internazionale è (anche) un’ottima base di lancio, che permette di posizionare cubesat in orbita bassa e a basso costo.
Si tratta di un’ottima alternativa al metodo tradizionale di rilascio dei nanosatelliti, il cosiddetto piggyback (letteralmente, ‘a cavalluccio’), che consiste nell’aggiungere un carico secondario a bordo di un razzo che ha ancora un po’ di spazio rispetto al satellite principale. Questo però significa che i cubesat sono del tutto vincolati al lancio del carico principale, e anche che il loro numero può essere relativamente limitato. Il rilascio di nanosatelliti direttamente dalla Iss, invece, permette non solo di abbattere i costi, ma anche di far partire queste piccole missioni in modo autonomo e in numero più elevato.
Nel caso dell’attività extraveicolare di Cristoforetti e Artemyev, il rilascio dei 10 nanosatelliti russi per ricerche sulle radiofrequenze è avvenuto manualmente. Una pratica non nuova nella storia delle passeggiate spaziali: già nel 2005 si erano svolti i primi esperimenti di invio manuale di cubesat dalla Iss.
Esistono però anche metodi meno artigianali che nel corso degli ultimi anni hanno permesso alla Stazione di perfezionarsi come trampolino per nanosatelliti, grazie ai bracci robotici. I cubesat che giungono sulla Iss a bordo di navicelle cargo (le stesse che portano rifornimenti e materiali utili agli astronauti) possono infatti essere dispiegati nello spazio grazie a specifici sistemi di espulsione. Il primo nel suo genere è stato installato dalla Jaxa nel modulo giapponese Kibō: è il Jem Small Satellite Orbital Deployer, pensato appunto per il rilascio di piccoli satelliti.
Ma il vero ‘decollo’ del mercato dei cubesat rilasciati dalla Iss è arrivato con il primo sistema di espulsione commerciale operato da Nanoracks, che già nel 2013 era diventata la prima azienda privata a gestire il rilascio di nanosatelliti dal modulo giapponese. Nel 2014, dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Nasa e dalle agenzie partner per sviluppare un proprio sistema per cubesat, Nanoracks ha installato (sempre nel modulo giapponese della stazione) il Nanoracks CubeSat Deployer.
Da quel momento, la piattaforma Nanoracks è stata una vera e propria porta d’accesso allo spazio per tutte quelle aziende che avevano deciso di investire sul mercato dei cubesat, senza però riuscire ancora a ottenere uno dei famosi passaggi piggyback sui razzi in partenza da Terra. Tra queste, anche diverse aziende italiane, come la startup di Brescia Gp Advanced Projects, che lo scorso gennaio si è guadagnata un primato non da poco: l’invio nello spazio del più piccolo satellite mai rilasciato dalla Iss. Chiamato Fees2 (da Flexible Experimental Embbedded Satellite 2), questo micro satellite misura appena 10x10x3cm, con una massa complessiva di 300 grammi. Meno di un pacco di pasta.
Come suggerisce il nome, Fees2 è il secondo satellite prodotto dalla Gp Advanced Projects a raggiungere l’orbita terrestre. L’obiettivo iniziale dell’azienda è testare tutte le componenti di questi piccoli sistemi satellitari, compresi i mini pannelli solari che ne permettono il funzionamento. Il progetto a lungo termine è quello di formare una costellazione di cubesat che operi nell’ambito dell’Internet of Things.
Questo è soltanto uno dei tanti esempi delle nuove possibilità offerte dalla collaborazione tra settore pubblico e settore privato in orbita bassa. Una frontiera che recentemente Nanoracks ha deciso di ampliare anche attraverso l’installazione del primo modulo commerciale permanente a bordo della Iss: Bishop, che significa ‘alfiere’ in omaggio alla sua mobilità.
Sviluppato in collaborazione con Thales Alenia Space, che l’ha assemblato nei suoi stabilimenti di Torino, Bishop è stato agganciato nel dicembre 2020 al nodo 3 della stazione Tranquillity. È pensato per diventare una vera e propria stanza aggiuntiva a bordo della Iss, da utilizzare principalmente come camera di compensazione per il passaggio dei payload dall’interno all’esterno della stazione e viceversa. Grazie alle sue notevoli dimensioni (1.80 metri di altezza e 2 metri di diametro), permette di trasportare carichi molto più pesanti e ingombranti rispetto a quanto consentito fino ad oggi.
Ma non è tutto. Una delle prospettive più interessanti di Bishop riguarda proprio il rilascio di nanosatelliti, che grazie all’alfiere della casa spaziale dispongono adesso di una nuova finestra aperta sul cosmo.