L’ANALISI

Spazio, nel Nordest resta lontano. Ma è solo una questione di visione



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Il sondaggio dell’Osservatorio Nordest rivela una distanza profonda tra ciò che lo Spazio rappresenta oggi e come viene percepito dall’opinione pubblica. Ma davvero la maggioranza degli italiani pensa che sia inutile investire nella space economy? O forse non le è mai stato spiegato davvero cos’è, e cosa fa per la nostra vita quotidiana?

Pubblicato il 10 apr 2025

Alessandro Sannini

Private Equity Investor'



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Lo spazio è ovunque, ma pochi lo sanno La notizia è semplice, eppure colpisce come uno schiaffo a freddo: secondo un sondaggio realizzato per l’Osservatorio Nordest e pubblicato dal Gazzettino il 9 aprile 2025, il 57% dei cittadini del Nordest italiano è contrario ad aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’industria spaziale. Solo il 43% ritiene che invece sarebbe opportuno spingere su un settore considerato da molti analisti come una delle leve fondamentali per la crescita economica del futuro. Un dato che lascia interdetti, soprattutto se si considera che proprio lo spazio è oggi al centro delle strategie industriali delle principali potenze globali. Ma prima di puntare il dito contro la scarsa lungimiranza dei cittadini, forse è il caso di fare una riflessione più profonda. Perché un sondaggio come questo non è solo una misura d’opinione: è anche un potente indicatore di quanto – o quanto poco – si sappia di ciò di cui si sta parlando.

Il fatto che la maggioranza del campione intervistato (composto da 1003 persone rappresentative della popolazione adulta del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige/Südtirol) si dichiari contraria a rafforzare gli investimenti nel settore spaziale non dovrebbe essere letto come una posizione ideologica. Al contrario, sembra il frutto di un’informazione carente, superficiale, spesso distorta. Si potrebbe dire che il vero dato che emerge da questo sondaggio non è tanto il “no” allo spazio, quanto il “non so” dietro quel no.

Il grande equivoco: lo spazio come lusso, non come infrastruttura

C’è un fraintendimento culturale di fondo che va chiarito subito. Quando si parla di investimenti spaziali, l’immaginario collettivo tende a visualizzare razzi costosissimi che bruciano carburante per portare qualche astronauta su Marte o una sonda ai confini del sistema solare. Missioni affascinanti, certo, ma anche percepite come costose, lontane, scollegate dai problemi concreti delle persone. Così, di fronte alla parola “spazio”, il cittadino medio si chiede: ma davvero, in un periodo storico segnato da inflazione, precarietà, crisi climatica, guerre e sanità in affanno, dobbiamo spendere miliardi per mandare qualcuno lassù?

La domanda sarebbe lecita. Se non fosse che, in realtà, la space economy non è più da tempo una questione di “lassù”. Lo spazio oggi è già qui. È nei telefoni che usiamo, nei sistemi di navigazione delle nostre auto, nella gestione del traffico aereo e marittimo, nel monitoraggio delle frane e degli incendi, nella sicurezza alimentare e persino nella logistica dei pacchi che ordiniamo online.

Lo spazio è diventato una infrastruttura invisibile. E come ogni buona infrastruttura, funziona meglio quando non si nota.

Spazio come metatrend: la regia silenziosa della vita moderna

Il punto centrale che manca – e che il sondaggio, nella sua forma spoglia, non riesce a far emergere – è che la space economy non è più un settore tra gli altri. È un metatrend. Un metatrend non è semplicemente una moda o un’opportunità passeggera: è una forza trasversale, capace di trasformare intere economie, ridefinendo le regole di comparti apparentemente lontani tra loro. Oggi ogni nuova tecnologia emergente – dal 5G alla mobilità autonoma, dall’agricoltura di precisione all’intelligenza artificiale – ha bisogno, in un modo o nell’altro, dello spazio per funzionare.

Non è un caso che le grandi potenze economiche abbiano fatto del settore spaziale un asse strategico, non solo in termini industriali, ma anche politici e di sicurezza. Gli Stati Uniti stanno consolidando il dominio delle mega-costellazioni satellitari, la Cina investe su sistemi indipendenti di posizionamento e osservazione della Terra, e l’India, nonostante un PIL pro capite inferiore a quello europeo, ha compreso da tempo che conquistare lo spazio significa garantirsi una leva di sviluppo sostenibile e di influenza internazionale. L’Europa, invece, si trova in una posizione intermedia. Possiede eccellenze industriali, un tessuto produttivo altamente qualificato, una tradizione scientifica robusta. Ma fatica ancora a costruire un consenso interno solido, proprio perché troppo spesso manca il racconto coerente di cosa sia oggi lo spazio e perché investirci significhi costruire benessere qui e ora.

Se manca il racconto, manca il consenso

E qui torniamo al punto. Un sondaggio come quello dell’Osservatorio Nordest non è solo un dato sociologico: è un segnale. Un allarme. Ci dice che la narrazione pubblica sullo spazio è ancora debole, sbilanciata, inadeguata. Che le persone non associano l’idea di spazio con quella di utilità. Che esiste uno scollamento profondo tra chi lavora in questo settore e chi dovrebbe beneficiarne. Perché se davvero si spiegasse – con parole semplici ma accurate – che lo spazio è il motivo per cui possiamo sapere in tempo reale dove si trova un’ambulanza, o prevedere una piena, o irrigare meglio un campo risparmiando acqua, allora quel 57% probabilmente si ridurrebbe. Forse si ribalterebbe del tutto.

Il fatto che si parli sempre più spesso di spazio nei media non significa che si sia comunicato davvero il suo valore. Parlare non è spiegare. E senza spiegazione, il cittadino si rifugia nell’istinto: se non lo capisco, allora non è prioritario. Se non lo vedo, allora non mi serve. Se non mi è chiaro, allora non vale la spesa.

Ma è proprio qui il nodo: non è che i cittadini siano “contro” lo spazio. È che non hanno mai avuto gli strumenti per considerarlo davvero “loro”.

Il rischio di decidere al buio

In questo contesto, il dato demoscopico diventa anche un potenziale pericolo. Perché una democrazia ha tutto il diritto di interrogarsi sulle sue priorità di spesa, ma deve farlo a partire da

informazioni corrette, complete, accessibili. Se manca questo livello minimo di conoscenza, si rischia di prendere decisioni strutturali sulla base di percezioni sbagliate. E questo, nel caso della space economy, può significare ritrovarsi tra dieci anni a rincorrere settori industriali ormai sfuggiti altrove. Perdere oggi l’occasione di investire nel settore spaziale non è solo una scelta economica: è una rinuncia strategica. È come tagliare i cavi della fibra ottica nel 2002 perché “tanto c’è il telefono”. È come ignorare Internet all’alba degli anni Duemila. È come dire che non servono le ferrovie ad alta velocità perché ci sono già le carrozze.

Il paradosso è che, mentre le istituzioni europee spingono su programmi di rilancio spaziale – da IRIS² alle nuove politiche di difesa comune – e mentre la filiera industriale italiana dimostra di avere le carte in regola per giocare un ruolo da protagonista, a livello sociale sembra ancora mancare una comprensione condivisa del senso profondo di questo sforzo.

Lo spazio non è il futuro. È il presente

La vera sfida, dunque, non è soltanto investire nello spazio, ma investire nella capacità collettiva di comprenderlo. Cambiare la percezione pubblica non è un’operazione di marketing, ma una necessità strategica. Significa portare lo spazio nei programmi scolastici, nei telegiornali, nelle piazze, nelle agende dei sindaci, nelle associazioni di categoria, nelle Camere di Commercio. Significa far capire che ogni euro speso in questo settore non è un volo pindarico, ma un atto concreto di costruzione del futuro.

E allora, forse, il prossimo sondaggio non restituirà più un’Italia incerta, scettica, distante. Ma un Paese che ha capito che lo spazio non è un lusso per pochi, ma un diritto per tutti. E che proprio per questo va difeso, sostenuto, raccontato. Non solo con i numeri. Ma con le storie, le connessioni, la concretezza. Perché lo spazio, quando lo conosci davvero, non lo vuoi più tagliare. Lo vuoi solo far crescere.

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