L’INTERVISTA

Sky Eye Systems, Mattei: “Per i droni si apre l’era della sostenibilità”

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Il manager dell’azienda umbra spiega a SpaceEconomy360 come sta evolvendo lo scenario: “Le dimensioni sempre più contenute dei velivoli, motori elettrici più performanti e batterie più potenti amplificano le potenzialità di utilizzo a fronte di un abbattimento dei costi”

Pubblicato il 17 Mag 2023

Giuseppe Mattei

“Lo sviluppo di motori elettrici sempre più performanti, meno pesanti e di dimensioni contenute, e l’evoluzione delle batterie, capaci di immagazzinare una quantità crescente di energia, hanno permesso di integrare la capacità di decollo e atterraggio verticale anche nei velivoli già esistenti che non la prevedevano, semplicemente installando i motori elettrici sulle travi di coda, opportunamente prolungante, dei velivoli. Questa evoluzione è diventata uno dei principali driver di sviluppo nell’ambito dei droni, infatti tutti gli operatori del settore puntano a introdurre questo genere di tecnologie o lo hanno già fatto, e si testano continuamente nuove soluzioni per arrivare a un livello di prestazioni sempre più alto, come ad esempio la configurazione convertiplano”. A illustrare in questa intervista a SpaceEconomy360 qual è il futuro della ricerca e sviluppo nel campo dei droni è Giuseppe Mattei, propulsion team leader ed R&D manager di Sky Eye Systems, azienda aeronautica con quartier generale a Foligno e sede operativa a Cascina (Pisa), fondata nel 2017 e partecipata per il 49% da Oma e per il 51% da Gepat, che ha la vision di sviluppare una nuova famiglia di Small Tactical UAS (Unmanned Aircraft System) di peso compreso tra 25 e 150 kg, e che ha nei suoi modelli di punta Rapier X-25 e Rapier SkySAR.

Mattei, ci spiega in che direzione sta andando la ricerca?

Finora la tecnologia ha ridotto le dimensioni dei motori e l’impatto logistico del decollo del drone. Grazie ai motori elettrici, ad esempio, si possono introdurre soluzioni promettenti, come la propulsione ibrida, che consente di utilizzare insieme i carburanti fossili con le batterie che alimentano i motori elettrici, in serie o in parallelo, sfruttando al massimo le potenzialità di entrambi. Al momento la benzina è ancora la soluzione energetica più performante, anche se il futuro sarà con ogni probabilità elettrico. Nell’attesa che le batterie si evolvano con densità di energia sempre più elevate la soluzione intermedia sta nell’ibridizzazione.

Qual è la differenza di rendimento tra i due sistemi?

I motori elettrici sono più efficienti dei motori a combustione interna, ma è anche vero che i carburanti come la benzina hanno un’energia specifica molto più elevata rispetto alle batterie attuali. Pertanto, quando si considera l’efficacia in termini di ore di volo del sistema di propulsione a parità di peso, è importante prendere in considerazione sia il rendimento del motore che l’energia specifica del combustibile o della batteria utilizzata oltre che al peso dei motori stessi.

Un sistema ibrido, con l’elica direttamente mossa dal motore a combustione interna, può offrire il vantaggio di un maggiore tempo di permanenza in volo (autonomia oraria) rispetto ad un sistema puramente elettrico o a combustione. L’energia generata dal motore può essere utilizzata per alimentare sia l’elica che le batterie, che a loro volta possono fornire energia supplementare quando necessario. Ciò consente di lavorare in un punto di funzionamento ottimale, estendendo l’autonomia del drone ed aumentando la sua capacità di carico utile, mantenendo al contempo la maggiore efficienza complessiva del sistema con benefici operativi, economici e ambientali.

Quali sono in pratica i vantaggi del motore elettrico?

Minore complessità e quindi maggiore affidabilità, minori costi, minore necessità di manutenzione e fermi macchina, minore sensibilità alle condizioni ambientali, oltre ad una pronta risposta a variazioni di regime che permettono risposte rapide ed efficaci, soprattutto nel caso di droni piccoli come i nostri, per resistere a disturbi di navigazione come quelli causati dal vento. In ambito marina militare, ad esempio, per appontaggi in condizioni non favorevoli, la presenza di un motore elettrico aiuta il computer di bordo a completare con successo le manovre, perché consente di intervenire in modo più reattivo sul numero di giri e sulle prestazioni del motore. In sintesi, se l’endurance è ancora oggi garantita soltanto dalla presenza a bordo di un motore a combustione, quello elettrico si rivela vincente per il ridotto inquinamento acustico, per le emissioni estremamente contenute e per una serie di applicazioni che semplificano e migliorano la parte logistica.

Che ruolo ha in questo contesto lo sviluppo del mercato “civile” per l’uso dei droni?

Oggi possiamo dire che sia avanzato con prepotenza, con un’attenzione crescente verso tecnologie green e innovative che consentano di ridurre l’impatto ambientale e di semplificare la gestione dei mezzi. Se, ad esempio, un drone “tradizionale” viene mosso da un solo impianto a combustione, con gli elettrici – visti gli ingombri contenuti e i pesi bassi – si possono mettere a punto sistemi ridondanti, come nel caso degli aerotaxi, impianti “multicottero” con decine di eliche: un vantaggio anche in termini di sicurezza.

A che punto siamo nel campo della regolamentazione?

Sebbene in passato il mondo militare fosse più avanti anche in termini di regolamentazione, oggi in ambito civile Easa si sta impegnando per mettere a punto una regolamentazione civile equivalente e l’azienda si è proposta per utilizzare il Rapier X-25, che ha già ottenuto la Certificazione di Tipo militare, come progetto pilota per i droni civili della categoria: al momento, in attesa della regolamentazione definitiva, vengono rilasciati permessi di volo che attestano che i velivoli hanno la possibilità di operare in alcuni scenari, con limitazioni del sorvolo delle aree densamente popolate.

Quali sono gli utilizzi militari e civili per i droni di nuova generazione?

In campo militare si parla di intelligence, ovvero raccolta di informazioni, sorveglianza, controllo del territorio, acquisizione di obiettivi, supporto alle truppe di terra con un raggio di azione di 100km dalla stazione di controllo a terra (GCS). A livello civile questi mezzi possono essere utilizzati in operazioni di routine, come il monitoraggio, l’ispezione e il controllo di infrastrutture, o per applicazioni che sarebbero pericolose o estremamente faticose per gli umani, ad esempio i sopralluoghi o le rilevazioni in aree remote, inquinate o colpite da eventi catastrofici. È un settore che ci interessa in modo particolare e per il quale abbiamo già creato relazioni con clienti istituzionali italiani e con enti industriali: non appena avremo ottenuto tutte le certificazioni del caso potremo espandere la nostra presenza anche in mercati diversi da quello militare, per il quale abbiamo già ottenuto i permessi per sorvolare aree densamente popolate senza alcuna restrizione.

Che obiettivo vi siete posti sui droni “civili”?

Ci piacerebbe essere i primi ad ottenere la certificazione per il sorvolo di aree densamente popolate senza restrizioni anche in ambito civile. Abbiamo sviluppato una tecnologia radaristica all’avanguardia utile sia in ambito militare che civile, che introduce nel drone la capacità di “sense and avoid”. L’abbiamo realizzata in collaborazione con l’università di Pisa in un progetto finanziato dal MISE: essa unisce le informazioni del radar con quelle del sensore ottico attraverso algoritmi di sensor fusion e consente al computer di bordo, dopo aver individuato un oggetto in rotta di collisione, di effettuare manovre evasive automatizzate per evitare la collisione. Inoltre siamo pronti per installare a bordo nuove tipologie di sensori, tra i quali i sensori iperspettrali particolarmente promettenti per l’agricoltura di precisione perché utili a rilevare lo stato della vegetazione. Abbiamo già effettuato una demo con il dipartimento di agraria dell’Università di Firenze sorvolando un tratto di vegetazione nota e determinandone con accuratezza lo stato.

Quanto contano le collaborazioni per avanzare nel vostro campo?

Sono un aspetto fondamentale: in casa non possiamo avere tutte le competenze in tutti i settori dell’ingegneria. Cerchiamo di dare il meglio nel nostro campo, ma grazie alle partnership possiamo espandere il know-how sfruttando il contributo di altre skill specialistiche. Collaboriamo molto con le università, attiviamo dottorati, assegni di ricerca e tesi, e insieme agli studenti diamo vita a simulatori che ci aiutano a determinare quali progetti è conveniente portare avanti perché di rilievo industriale. Nel caso dell’ibrido parallelo, ad esempio, abbiamo realizzato un prototipo volante con motori tandem che è stato prima studiato a livello teorico/simulativo in una tesi: senza il contributo dell’università di Firenze i tempi sarebbero stati più lunghi.

Quali sono oggi le prospettive della propulsione a idrogeno per i droni?

La stiamo studiando, ma non è semplice, perché si lavora su ingombro e pesi ridotti. Di certo è una tecnologia promettente, che consiste in un sistema elettrico simile alla tecnologia ibrida, dove la cella a idrogeno sostituisce il motore a combustione nel fornire energia a batterie e motori elettrici, con l’idrogeno pressurizzato al posto della benzina. Stiamo studiando la possibilità di produrre l’idrogeno direttamente a bordo da un carrier liquido, senza la necessità di imbarcare pesanti serbatoi, con un reattore piccolo e poco pesante per alimentare le celle. Abbiamo un dimostratore da banco, ma vogliamo ridurre ulteriormente i pesi per provare ad imbarcarlo sui droni della nostra famiglia. Quando riusciremo a sviluppare questo progetto, si tratterà di una tecnologia potenzialmente interessante per tutto il mondo dell’aeronautica, non soltanto per i droni.

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