La decarbonizzazione dell’aviazione civile è l’obiettivo di business numero uno per il settore aerospaziale ed è raggiungibile attraverso un approccio che includa i carburanti e le forme di propulsione, la produzione e la progettazione dei velivoli, le infrastrutture e sistemi di controllo del volo. Per questo, c’è bisogno di un nuovo ecosistema che abbracci tutta la catena del valore che riguarda i voli commerciali. Lo scenario è delineato da Decarbonizing Aerospace, studio realizzato dalla Deloitte e che analizza tutte le leve che l’industria – e non solo – devono utilizzare per ridurre l’impatto ambientale dell’aviazione.
L’aviazione civile produce attualmente il 2-3% della CO2 mondiale, ma le sue emissioni sono salite del 32% dal 2013 al 2018. Ogni volo tra New York e Londra produce una tonnellata di CO2 per passeggero (come il cittadino medio di una nazione civilizzata in un anno) e l’aviazione business è ancora più impattante: 860 kg di CO2 per passeggero contro i 108 kg dei voli di linea. Considerando che nel 2050 ci saranno 10 miliardi di passeggeri all’anno e 20 mila miliardi di km percorsi, le emissioni totali saliranno a 2,35 miliardi di tonnellate di CO2, 2,6 volte quelle del 2019 rappresentando il 22% del totale prodotto dall’intero pianeta. La International Air Transport Association (Iata) ha già fissato obiettivi di sostenibilità: -50% emissioni nette di CO2 entro il 2050.
La Deloitte, oltre a investigare le tecnologie coinvolte nel rendere l’aviazione più ecosostenibile, ha intervistato 40 esperti americani ed europei del settore aerospaziale arrivando alla conclusione che c’è il potenziale per ridurre dell’85% le sue emissioni di CO2 (senza dimenticare gli ossidi di azoto): dai già citati 2,35 miliardi a 326 tonnellate di CO2. Per riuscirci non c’è una pallottola d’argento, ma una gamma di soluzioni. Nel frattempo il settore ha già migliorato la propria impronta di CO2 dell’1,5% all’anno nell’ultimo decennio, ma non basta e, se non si accelera, il rischio è veder scendere il giro d’affari di 40 miliardi di dollari e l’occupazione di 110mila persone. Gli esperti tuttavia sono fiduciosi: le tecnologie ci sono e hanno il potenziale per migliorare i conti, soddisfare i clienti e rendere ancora il settore attraente per chi vuole lavorarvi.
Ma c’è un ma: gli obiettivi dello Scope 3 fissano una riduzione del 70% dell’impronta di CO2 in tutto il ciclo di vita dell’aviazione, dunque non dipende solo dall’industria aerospaziale. Occorre insomma rendere economicamente sostenibile un cambio sistemico, anche grazie a forme di incentivazione. Tale paradigma sta interessando anche il settore della Difesa, praticamente immune da problematiche ambientali in senso stretto, per ragioni di costo e di ottimizzazione sia dei metodi di sviluppo sia dei modelli di produzione. Gli esperti identificano fondamentalmente 5 campi dove è possibile intervenire: design (progettazione e produzione), gestione dello spazio aereo, nuove strutture, nuove tecnologie di propulsione e nuovi carburanti.
In sede di progettazione e produzione il potenziale maggiore è offerto dal digital twin (realtà virtuale condivisa in cloud in tempo reale), la prototipazione rapida, la manifattura additiva (meglio nota come stampa 3D), l’approvvigionamento etico di materiali alternativi, l’utilizzo di energia rinnovabile e tecnologie efficienti e l’accorciamento della filiera dei fornitori per ridurre i trasferimenti dei componenti. Gli aerei possono migliorare la loro aerodinamica e diventare più leggeri, grazie anche a nuovi materiali, per essere più efficienti. Boeing, ad esempio, punta sui materiali compositi, che hanno un’impronta di CO2 nel ciclo di vita completo inferiore del 20% rispetto ai metalli, e sulla stampa 3D per diminuire il peso del 15-25%.
I campi più interessanti, e che riguardano l’efficientamento della fase operativa di volo, riguardano le forme di propulsione. Si parla di propulsione elettrica, più adatta per gli evotl e il volo a corto e medio raggio, mentre per il lungo raggio appaiono più promettenti i carburanti bio e sintetici (Sustainable Aviation Fuels – Safs): i primi sono ottenuti da scarti biologici – da quelli alimentari e agricoli fino a quelli della lavorazione del legno e alle alghe – i secondi combinando la CO2 catturata dall’atmosfera con l’idrogeno. L’elettrico ha il potenziale per ridurre del 60% le emissioni nel corto raggio (fino a 500 miglia) e del 40-45% quelli a medio raggio. I carburanti bio possono tagliare del 75% la CO2 per il lungo raggio. L’elettrico e i Safs hanno il potenziale per abbattere di 1,49 miliardi di tonnellate la CO2 entro il 2050. Per l’elettrico il punto nodale sono le batterie: oggi la loro densità di energia è inferiore di 14 volte rispetto ai carburanti fossili.
Per i carburanti bio e sintetici il problema sono i costi: i primi costano 4 volte tanto, i secondi da 6 a 10 volte di più. Occorrono dunque economie di scala e collaborazioni tecnologiche, in particolare con il mondo automotive che ha molto da offrire anche per i sistemi di rifornimento e per la guida autonoma degli evotl. Un punto di convergenza è rappresentato anche dall’idrogeno, utilizzato sia come combustibile riadattando i motori esistenti, o come vettore energetico per le celle a combustibile per produrre energia elettrica a bordo dei velivoli. La ricerca della Deloitte individua nell’elemento chimico più presente in natura il cardine della transizione grazie alla sua elevata densità di energia (tripla rispetto al cherosene), anche se pone sfide strutturali (produzione e distribuzione) e impone una riprogettazione radicale dei velivoli. Da questi punti di vista, l’elettrificazione dei velivoli comporta impatti inferiori. In ogni caso, il passaggio verso l’elettrico e l’idrogeno costerebbe 125 miliardi di dollari.
Nel frattempo, può offrire immediati vantaggi la gestione degli spazi aerei. Thales conta di ridurre del 10% i consumi di carburante entro il 2023 attraverso i propri sistemi. Al posto di Air Traffic management (Atm) si parla oramai di Air Traffic Flow Management (Atfm), grazie all’intelligenza artificiale, ad una gestione delle informazioni che minimizzino il taxi time (i movimenti sulla pista prima del decollo e dopo l’atterraggio) e permettano di sfruttare al meglio lo spazio aereo, utilizzando i dati meteo e anche le rotte militari. Altra strada è la compensazione della CO2 emessa, un primo passo è il programma Corsia (Carbon REduction Offsetting scheme for International Aviation) servendosi sia di iniziative per la natura sia dei sistemi di Ets (Emissions Trading Scheme), ovvero con acquisto e vendita dei crediti di CO2.
Si può fare? Esempi virtuosi ci sono già: l’aeroporto di Oslo punta ad essere CO2 neutral entro il 2030 e la compagnia JetBlue negli Usa ha già azzerrato il proprio bilancio di carbonio per i voli domestici. Lo studio Decarbonize Aviation quantifica anche il ruolo che ciascuno dei campi individuati avrà nel processo di carbonizzazione: il 45% sarà grazie ai Safs, il 18% per l’elettrico, l’8% il design, il 6% per la gestione del traffico aereo, il 5% l’idrogeno, e il 3% grazie alle infrastrutture. In questo modo il volume della CO2 prodotta potenzialmente dall’aviazione civile nel 2050 può essere abbattuto dell’85%.