L’INTERVISTA

Aerospace, Carrino: “Serve una cabina di regia”

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Il presidente del distretto aerospaziale della Campania: “Nel Pnrr nemmeno una riga per lo sviluppo dell’aeronautica, a differenza di quanto avviene per lo Spazio. Su digitalizzazione, mobilità aerea avanzata, droni e ipersonico si gioca il futuro dell’innovazione per il manifatturiero nazionale”

Pubblicato il 22 Mar 2023

Luigi Carrino Dac 2

Raggiungere risultati importanti nel campo dello sviluppo tecnologico attraverso la collaborazione tra pubblico, privato e mondo della ricerca. È questo l’obiettivo che ha portato nel 2012 alla nascita del distretto aerospaziale della Campania, che oggi conta su 192 soci. Tra questi 27 grandi imprese, tra le quali Avio Aero, Atitech, Leonardo, Magnaghi ed Mbda, 24 tra università e centri di ricerca e 148 tra piccole e medie imprese e startup. A spiegare in questa intervista a SpaceEconomy360 il senso di questa esperienza è Luigi Carrino, presidente del Dac: “Abbiamo puntato fin dall’inizio a obiettivi di sviluppo tecnologico – sottolinea – non a collaborazioni occasionali che nascono e muoiono nel volgere di un bando. La nostra convinzione è si debbano condividere le visioni a medio e lungo termine, individuare le strategie di sviluppo tecnologico, realizzando alleanze forti tre industria e ricerca”.

Carrino, come si è sviluppata la vostra storia?

Dieci anni fa contavamo su meno di 30 soci, ed eravamo una società consortile a responsabilità limitata e a maggioranza pubblica: le università e i centri di ricerca avevano quindi la maggioranza del capitale sociale. È nata da una mia iniziativa la decisione che il Cda fosse composto in maggioranza da rappresentanti dell’industria, per rendere chiaro il fatto che il distretto nasceva non per sostenere la ricerca di base, che pure è importantissima, ma per dare vita a iniziative che si traducessero in opportunità per le imprese e in un aumento della loro capacità competitiva, quindi in crescita. Oggi, dopo diversi aumenti di capitale fatti solo per consentire l’accesso di nuovi soci, abbiamo aumentato sensibilmente il numero dei privati che fanno parte del cluster senza perdere nemmeno un socio pubblico. Abbiamo realizzato complessivamente progetti per 260 milioni di euro, tutti con una caratteristica in comune: i team sono sempre stati composti da un leader industriale riconosciuto da tutti gli altri partecipanti al progetto, da un gruppo di imprese e dai rappresentanti dell’università è dei centri di ricerca. Il modello si è dimostrato credibile e ha funzionato, e infatti altri soci continuano a chiedere di entrare nel distretto.

Da un recente lo studio di Intesa Sanpaolo su valore delle esportazioni al Sud spicca l’aerosapzio campano. Come si spiega questo trend?

Dalla ricerca emerge che l’aerospazio in Campania ha aumentato le proprie esportazioni del 48,3% rispetto all’anno precedente, il picco più alto secondo quando registrato dallo studio. È un dato sul quale dobbiamo riflettere attentamente. Da una parte i numeri possono essere interpretati come la conseguenza di un recupero rispetto ai rallentamenti e alle perdite che per il settore aeronautico sono state causate dalla pandemia e dai lockdown. Le compagnie aeree, infatti, hanno bloccato investimenti e tutta l’economia attorno all’aeronautica si è fermata, gli ordini si sono bloccati. Oltre ad aver recuperato quello che si era perso, un’altra spiegazione può essere quella dell’aumento di valore dovuto all’aumento dei costi. Ma un’analisi seria deve anche certificare che la somma di questi due effetti non giustifica un valore così alto delle esportazioni, che deve essere spiegato anche come un effetto della capacità delle imprese di non restare ferme e di investire in innovazione di prodotto e di processo anche nei momenti più duri.

Ad esempio?

Lo stabilimento Leonardo di Pomigliano in cui si produce l’Atr, giusto per fare un esempio nel campo dell’aeronautica commerciale, ha investito nel progetto Nemesi per realizzare il più digitalizzato centro europeo per la produzione flessibile di fusoliere aeronautiche. Iniziative di questo genere creano un effetto a cascata anche per le Pmi che lavorano con questi grandi gruppi, che sono chiamate a loro volta a innovare e a digitalizzarsi per rimanere al passo. Anche grazie a questa contaminazione è stato possibile attivare contatti con realtà all’estero, collaborazioni e nuove commesse che hanno coinvolto diverse nostre aziende sulla frontiera dell’innovazione.

Quali sono oggi le sfide che si trova di fronte il vostro mondo?

L’aeronautica e lo Spazio sono da questo punto di vista mondi molto diversi. L’aeronautica si trova davanti la sfida della digitalizzazione di tutta la filiera, e non soltanto dei grandi player. I grandi temi del momento sono la nuova mobilità aerea avanzata, l’uso dei droni anche per applicazioni nel mondo della sanità, della sorveglianza, della sicurezza, e la unmanned air mobility. Su questi temi abbiamo progetti ancora frammentati, ma sono sfide alla nostra portata, per le quali non c’è bisogno di grandi alleanze internazionali. Un’altra frontiera di rilievo è quella dell’ipersonico: abbiamo in essere un progetto articolato in due parti, una civile e una militare, per aerei a propulsione innovativa in grado di raggiungere traiettorie suborbitali: per fare un esempio, con questa tecnologia si potrebbe coprire la distanza tra Napoli e New York in meno di due ore.

Quali sono le criticità che vede all’orizzonte?

Per attivare le iniziative di sviluppo più grandi e importanti c’è bisogno anche di un sostegno che venga dalle scelte di politica industriale dei Governi. Ad esempio, la Francia ha fatto un grande investimento coinvolgendo Airbus sulla progettazione degli aerei “green” di prossima generazione. Si tratterà di produrre propulsori diversi, in una prima fase probabilmente ibridi e poi elettrici. Anche altri Paesi si stanno muovendo in questa direzione, ed è singolare che nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano non ci sia nemmeno una riga per il sostegno all’industria aeronautica.

Quali potranno essere le conseguenze di questa scelta?

Il rischio è che nei prossimi anni, quando avremo esaurito la spinta degli accordi internazionali in corso, non avremo più nuove collaborazioni, perché non avremo investito abbastanza sullo sviluppo delle nuove tecnologie e dei nuovi velivoli. E’ una prospettiva particolarmente preoccupante se pensiamo che l’aereo a idrogeno cambierà completamente il panorama attuale. Portare sul viale del tramonto il settore dell’aeronautica significa ferire a morte la manifattura del nostro Paese. Spero che qualcuno se ne accorga e si attivi per sostenere il settore in Italia e per creare nuove partnership internazionali anche nel campo dell’aeronautica civile, come è successo per il progetto Tempest in ambito militare tra Italia, Regno Unito e Giappone.

Passiamo allo Spazio…

Siamo stati pionieri in questo settore, e dal mio punto di vista se dovessimo guardare ai nostri meriti avremmo diritto a una posizione più importante di quella che attualmente occupiamo in campo internazionale. Abbiamo investito molto sulla ricerca scientifica in campo spaziale, e il fatto che oggi mi preoccupa è che l’Europa risulta “schiacciata” tra i grandi investimenti del capitalismo privato, come ad esempio i progetti di Jeff Bezos e di Elon Musk, e i grandi investimenti pubblici di giganti del calibro della Cina e degli Stati Uniti. L’Europa rischia di non avere una forza paragonabile, così come anche l’Italia, che però ha destinato una parte importante delle risorse del Pnrr allo spazio e alle costellazioni di satelliti per i servizi sulla terra. Grazie a questi fondi sarà fondamentale continuare a sostenere le nuove idee che arrivano dalla ricerca e dai talenti che abbiamo nelle nostre università.

E’ inutile, dal mio punto di vista, competere con Bezos e Musk sul campo dei vettori, ma abbiamo capacità importanti per nella creazione di soluzioni che usano lo Spazio per creare servizi. Sarà importante sostenerle e dare loro tutte le opportunità per crescere. Per questo, ad esempio, abbiamo sottoscritto un accordo con Intesa Sanpaolo per aiutare i talenti italiani dello Spazio a trovare investitori che li sostengano oltre i tre anni di durata media delle startup, aiutandoli nell’incubazione e nella messa a punto di una visione imprenditoriale per lo sviluppo delle loro idee. Allo stesso modo abbiamo un accordo con Nanoracks Europe, società che si occupa di portare nello spazio esperimenti e di gestire una parte della stazione spaziale internazionale: insieme a noi e ai nostri docenti aiuta le idee a raggiungere la maturità ingegneristica, e applica uno sconto consistente a chi mette a punto un progetto pronto per andare nello Spazio.

Quanto si sente nel vostro campo la carenza di competenze?

Siamo in un periodo di transizione, e questo ci porterà naturalmente a raggiungere un equilibrio. Non ho particolari preoccupazioni su questa questione, perché tocco con mano il fatto che abbiamo tanti giovani con elevatissime competenze digitali, sia in termini di capacità progettuale, sia nel relazionarsi con i fornitori e con i clienti. Siamo già da tempo al lavoro sull’aggiornamento delle competenze all’interno delle imprese lungo tutta la filiera. Se dovessi dire però qual è il campo in cui c’è di sicuro bisogno di un’accelerazione decisa è la cybersecurity: perché è fondamentale saper usare i nuovi software di progettazione avanzata, i sistemi di realtà aumentata, se sono in grado di ottimizzare i processi di produzione: ma se non tutelo nel modo migliore i miei dati metto a rischio tutto.

Si parla di una nuova legge quadro per lo spazio. Su quali principi si dovrà basare?

Il nostro settore ha necessità di crescere e competere in un sistema di politiche industriali stabili, che devono essere mantenute nel tempo e che non risentano dell’alternanza politica, perché lavoriamo e ragioniamo su tempi normalmente più lunghi delle singole legislature. Quello che mi sento di chiedere al ministro Urso, che ha annunciato la nuova iniziativa legislativa, è che riservi al settore aeronautico la stessa attenzione che viene riservata allo Spazio: abbiamo bisogno di una cabina di regia, e i territori devono essere coinvolti, possibilmente attraverso i distretti, che sono un mezzo centrale perché le politiche trovino un’applicazione rapida ed efficace nei territori.

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