Colorate o bianche, dotate di caschi e strumenti studiati appositamente in relazione al tipo di attività cui sono destinate e accomunate dallo scopo principale di proteggere chi le indossa da un ambiente ostile: sono le tute spaziali, un ingrediente fondamentale per le missioni che vedono in primo piano gli esseri umani.
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Il guardaroba spaziale, non solo Usa e Russia
Il rinnovato interesse verso l’esplorazione della Luna con il programma Artemis della Nasa, cui l’Agenzia Spaziale Italiana ha aderito nel 2019, e il successivo obiettivo di portare l’uomo su Marte hanno riacceso i fari sulle tute. Tra l’altro, il contesto in cui questi particolari indumenti vengono ideati e sviluppati è diventato particolarmente variegato e competitivo: se un tempo la progettazione del guardaroba degli astronauti era appannaggio delle due nazioni protagoniste della ‘corsa allo spazio’, gli Stati Uniti e la Russia, ora hanno debuttato nel campo del volo umano anche altri soggetti, come la Cina – che sta costruendo la propria stazione orbitante – e le aziende private Blue Origin e SpaceX.
Piccole “astronavi” indossabili
Questi abiti dall’aspetto fantascientifico, che continuano a suscitare un indubbio fascino sui giovani e sul grande pubblico (basti pensare alla grande varietà di costumi per bambini e non ispirati alle tute e facilmente reperibili online), hanno conosciuto un profondo progresso tecnologico dai tempi dei primi voli umani del russo Yuri Gagarin e dello statunitense Alan Shepard (avvenuti, rispettivamente, il 12 aprile e il 5 maggio 1961). Tuttavia, non è mai venuta meno la loro caratteristica di base: essere un rivestimento protettivo – quasi una sorta di piccola astronave – nelle fasi più delicate delle missioni, come ad esempio i viaggi da e per la Stazione Spaziale Internazionale e soprattutto le attività extraveicolari in cui gli astronauti si trovano a lavorare nello spazio anche per parecchie ore di seguito.
La sicurezza parametro numero uno
La sicurezza è un elemento di primaria importanza e, nonostante gli sforzi intrapresi per garantire la massima tutela agli esploratori cosmici, gli imprevisti possono comunque presentarsi. È proprio quello che è successo il 16 luglio 2013 all’astronauta italiano dell’Esa Luca Parmitano che, impegnato in un’attività al di fuori della Stazione Spaziale, ha dovuto affrontare momenti drammatici quando il casco della sua tuta da esterni ha iniziato a riempirsi d’acqua a causa di una valvola difettosa. La vicenda, che si è conclusa felicemente grazie alla professionalità di Parmitano e ha ispirato il documentario Eva 23, è stata oggetto di una profonda indagine da parte della Nasa e ha costituito successivamente un momento di crescita e riflessione per evitare che un imprevisto così pericoloso potesse ripetersi.
Come evolverà il guararoba spaziale?
Ma a questo punto, alla luce delle innovazioni nelle tecnologie e nei materiali e delle lessons learned, come si evolverà il guardaroba degli astronauti? Cosa indosseranno, ad esempio, i protagonisti del futuro allunaggio, previsto al momento nel 2025? La ‘collezione’ di tute sviluppate dai primi voli in poi si è infatti arricchita di due unità nuove di zecca, pronte per prendere il via con le missioni del programma Artemis: sono la bianca xEmu (Exploration Extravehicular Mobility Unit) e l’arancione Ocss (Orion Crew Survival System). Progettati per scopi diversi, i nuovi completi dovranno garantire alle prossime generazioni di esploratori lunari sicurezza e maggiore agilità nei movimenti, visto che i loro compiti saranno più impegnativi rispetto a quelli dei pionieri che li hanno preceduti.
La xEmu, il cui look ricorda le tute indossate dagli astronauti delle missioni Apollo, è stata ideata per le uscite sul suolo lunare: dovrà quindi resistere alle temperature estreme che caratterizzano l’ambiente del nostro satellite naturale, ma potrà essere proficuamente impiegata anche per le attività extraveicolari del Lunar Gateway, l’avamposto cislunare di appoggio per le missioni Artemis.
La sgargiante Orion (nella foto), invece, è stata ideata principalmente come ‘abito da viaggio’: sarà suo compito proteggere gli astronauti nelle delicate fasi di lancio e di rientro sulla Terra, ma potrà essere utilizzata anche nell’interno degli habitat spaziali e in eventuali situazioni di emergenza.
Quindi, per rispondere in maniera sempre più aderente alle dinamiche della vita a gravità zero, la moda ‘astronautica’ del futuro, oltre ai fondamentali requisiti di sicurezza, dovrà coniugare stile, tecnologia e praticità.
Caratteristiche non molto lontane dall’abito “universale, che veste tutta la persona, dà completo agio di movimento e senso di risparmio di energia”, ovvero quella tuta inventata nel 1919 dai fratelli Ernesto e Ruggero Michahelles, eclettici esponenti del movimento artistico futurista noti come Thayaht e Ram. I due creativi sarebbero stati sicuramente fieri nel vedere che, dai primi voli in poi, versioni sempre più all’avanguardia del loro abito – considerato ‘di rottura’ alla loro epoca – hanno avuto un ruolo così importante nell’accompagnare gli esseri umani alla scoperta dello spazio.