LA PREVISIONE

Non solo Marte, Urano sarà il prossimo obiettivo della ricerca spaziale

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Lo rivela uno studio realizzato dalle Accademie nazionali di Scienze, Ingegneria e Medicina degli Stati Uniti. Si punta a trovare prove di attività geologica e di potenziali mondi oceanici

Pubblicato il 21 Apr 2022

Nicola Desiderio

Tornare ad esplorare i pianeti del sistema solare arrivando non solo su Marte, ma su altri corpi celesti che possano rivelare nuove conoscenze e darci ulteriori indizi sulla natura e la presenza della vita nella fetta di Universo a noi più prossima. E il primo della lista è Urano (foto sopra del telescopio Hubble).

È quanto suggerito da ‘Origins, Worlds, and Life – A Decadal Strategy for Planetary Science and Astrobiology 2023-2032’ studio realizzato dalle Accademie nazionali americane di Scienze, Ingegneria e Medicina e frutto del lavoro svolto dal Committee on the Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey, un gruppo congiunto formato da 19 coordinatori e 78 tecnici. Dal 2020, costoro hanno identificato lo stato dell’arte delle scienze coinvolte nell’attività di esplorazione dello spazio e, grazie all’interazione con la Nasa, hanno redatto questo ponderoso documento (800 pagine) che può essere definito strategico poiché, oltre a fornire i doverosi indirizzi scientifici, elenca priorità, quantificazioni e scenari di spesa che costituiranno grimaldelli politici con i quali l’agenzia spaziale potrà richiedere aumenti di budget.

Oltre al ritorno sulle superfici di pianeti già visitati in passato (Venere, Marte, Saturno e Giove), lo studio propone con la priorità più elevata l’esplorazione su Urano, un pianeta definito nello studio “tra i corpi celesti più intriganti del sistema solare. La sua bassa energia interna, le dinamiche attive della sua atmosfera e il suo complesso campo magnetico presentano i maggiori interrogativi. Un gigantesco impatto primordiale potrebbe aver prodotto uno scostamento assiale estremo e probabilmente anche dei suoi anelli e satelliti, seppure questo non sia provato. Le grandi lune di Urano formate da ghiaccio e roccia mostrano prove sorprendenti di attività geologica (…) e indicano la presenza potenziale di mondi oceanici”.

Lo studio fa riferimento al sorvolo che la sonda Voyager 2 compì nel 1986 e che rappresenta l’unica fonte ravvicinata di informazioni sul settimo pianeta del sistema solare, il terzo per diametro e il quarto per massa. Lo studio suggerisce una missione composta da una capsula orbitante e da una sonda sul pianeta che possa fornire finalmente dati precisi su atmosfera, magnetosfera, sulla composizione chimica e infine sulle origini e la storia di Urano. La missione potrebbe partire nel 2031 o nel 2032 con un Falcon Heavy di SpaceX o altri vettori di uguale potenza come lo Space Launch System della Nasa, sfruttando la gravità di Giove per accorciare il viaggio che durerebbe 13 anni. Esistono altre finestre dal 2032 al 2038 e oltre, ma dovrebbero utilizzare solo la gravità del sistema solare con un aumento dei tempi. Il costo stimato è di 4,2 miliardi di dollari.

I dati raccolti per Urano potrebbero essere utili anche per la comprensione di un altro pianeta inesplorato come Nettuno, ma che presenta diverse analogie con Urano tanti che gli astronomi li associano chiamandoli “giganti di giaccio”. In ordine di priorità, lo studio propone poi altre 10 missioni e la seconda riguarda Enceladus, satellite di Saturno, anch’essa composto da una navicella orbitante e una sonda. In questo caso il costo stimato della missione è di 4,9 miliardi. Il documento suggerisce due profili di budget: quello “raccomandato” prevede un aumento del 17,5% sul totale mentre quello “per gradi” prevede un aumento annuale del 2% alla voce dedicata alle scienze planetarie. Nel primo caso, lo studio per la missione su Urano partirebbe subito in vista del lancio nel 2031 permettendo di iniziare a lavorare anche su quella per Enceladus. Nel secondo, Urano sarebbe rimandato alla fine degli anni ’30 e la luna di Saturno non avrebbe alcun fondo.

In entrambi i casi, non sono in discussione i programmi già avviati, soprattutto per quelli che riguardano la mappatura di tutti i cosiddetti Neo (Near Earth Objects), la Luna e Marte, ma suggerisce maggiore peso per la parte scientifica al programma Artemis integrandolo con missioni di prelievo, raccolta e invio sulla Terra più efficaci. Per farlo su Marte occorrono 2,1 miliardi, per la Luna ne bastano 1,9 e si pensa ad una missione denominata Endurance-A che implica la costruzione di un veicolo capace di percorrere 2.000 km e di compiere carotaggi profondi raccogliendo 100 kg di materiale da riportare sulla Terra con una navicella di trasporto insieme ad astronauti. I costi non sono da saldo, ma l’integrazione con Artemis li riduce ad una frazione di quelli necessari per missioni specifiche che sarebbero oltretutto molto meno efficienti: una missione interamente robotizzata infatti al momento non riesce a riportare sulla Terra più di 2 kg di campioni.

Lo studio si chiude con un’esortazione a riservare maggiori fondi ai progetti scientifici legati ai programmi spaziali e a potenziare le persone, dunque ai tecnici e agli scienziati che nelle università e negli enti di ricerca si dedicano alle discipline legate all’esplorazione spaziale. A tal proposito, propone anche un censimento più accurato di coloro che impegnati in questi studi per rafforzare la comunità scientifica che si riconosce nelle scienze planetarie. “Assicurare ampio accesso e partecipazione a questo campo è essenziale per massimizzare l’eccellenza scientifica e il mantenimento del ruolo preminente della nazione nell’esplorazione dello spazio” ha dichiarato Philip Christensen, professore di scienza planetaria presso l’Arizona State University e membro del Committee on the Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey.

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