“Siamo già stati sulla Luna oltre 50 anni fa, perché allora è così difficile tornarci?” È una domanda che si sente spesso quando parliamo di ritorno sul nostro satellite. Nella risposta sta racchiusa tutta la complessità di un programma di esplorazione spaziale che in realtà ha poco a che vedere con i successi del passato. Vediamo dunque tutti gli elementi principali del programma Artemis, che punta a rendere la Luna il prossimo avamposto dell’umanità. Un’impresa in cui c’è anche molta Italia.
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Ritorno al futuro
Nel 1972 partiva Apollo 17. Era l’undicesima missione con equipaggio del programma lunare targato Nasa. E l’ultima: da quel momento in poi, nessun essere umano ha più messo piede sul nostro satellite. Oggi la Luna è di nuovo al centro dell’esplorazione spaziale, ma si tratta più che altro di un ritorno al futuro. Il nuovo programma Artemis è profondamente diverso dal suo predecessore Apollo, per almeno tre ragioni. Prima di tutto, si tratta di un’impresa internazionale. Se il primo allunaggio è stata l’avventura di un’unica superpotenza, il ritorno sulla Luna vede una stretta collaborazione tra nazioni.
Fondamentale il contributo dell’Italia
Il traino resta quello degli Stati Uniti, ma il contributo dei paesi partner (tra cui l’Italia) è fondamentale. Il secondo elemento di differenza sta nel nuovo ruolo delle aziende spaziali private, SpaceX in testa, che forniranno la tecnologia per rendere sostenibile la presenza umana sul nostro satellite. Il che ci porta all’aspetto forse più cruciale: il programma Artemis intende portare la prima donna e il prossimo uomo sulla Luna con l’ambizione di restare.
Non più missioni lampo, ma un programma serrato che a lungo termine dovrebbe rendere il nostro satellite abitato tutto l’anno. Esattamente lo stesso principio che ha guidato l’impresa della Stazione Spaziale Internazionale: con Artemis, dall’orbita bassa si passerà a rendere costantemente abitate l’orbita cislunare e alla superficie della Luna.
Lo Space Launch System
Per un programma ambizioso come Artemis serviva un razzo altrettanto potente. Per questo la Nasa ha messo a punto Sls, acronimo di Space Launch System: un colosso di 98 metri, capace di trasportare un carico di 130 tonnellate. Non solo l’equipaggio, dunque, ma anche tutto quello che servirà per attrezzare e rendere abitabili l’orbita cislunare e la superficie del nostro satellite.
L’aspetto di Sls ricorda un po’ il suo predecessore Saturn V, il vettore che ha garantito il successo delle missioni lunari Apollo. Ma dal punto di vista tecnologico lo Space Launch System è più simile allo Space Shuttle, l’altrettanto storico sistema di lancio della Nasa pensionato nel 2011. Come lo Shuttle, l’Sls utilizza due booster aggiuntivi a propellente solido, oltre a quattro motori RS-25.
Queste caratteristiche rendono lo Space Launch System il più potente sistema di lancio mai costruito al mondo.
Orion
La punta di diamante dello Space Launch System è la navicella destinata al trasporto dell’equipaggio. Il suo nome è Orion, ha le dimensioni di una piccola casa e può ospitare fino a sei astronauti. Per realizzare la navetta la Nasa si è affidata all’azienda Lockheed Martin, che ha costruito anche il modulo abitativo. Mentre l’Agenzia Spaziale Europea, con un grande contributo dell’Italia, è responsabile del modulo di servizio, chiamato Esm (da European Service Module, appunto). Si tratta di una componente essenziale della navicella, che fornirà all’equipaggio tutti gli elementi vitali per soggiornare nel modulo abitativo di Orion: acqua, aria, propulsione, elettricità, regolazione della temperatura. Esm si estende per 4 metri di diametro e di altezza, ed è fornito di 4 pannelli solari larghi 19 metri, progettati per generare una quantità di energia corrispondente a quella che serve per alimentare due abitazioni. Il modulo abitativo e il modulo di servizio costituiscono i ‘due piani’ dell’astronave che porterà gli astronauti verso la Luna.
Starship
Il colossale sistema di lancio messo a punto dalla Nasa e dai suoi partner internazionali è abbastanza potente da trasportare equipaggio e attrezzatura verso la Luna, e un giorno verso Marte. Ma non è adatto alla discesa sul nostro satellite: per questo c’è Starship di SpaceX. Il sistema Starship è composto dall’omonima navetta, utilizzata per il trasporto di astronauti su e giù dalla Luna (e un giorno da Marte), e dal razzo Super Heavy. Parole chiave sono riutilizzabilità e velocità, due elementi che nei progetti di Elon Musk renderanno i viaggi spaziali economicamente sostenibili. SpaceX scommette infatti sul suo già rodato sistema di lancio riutilizzabile per carichi pesanti, che permette un alto numero di lanci in breve tempo con una notevole diminuzione dei costi. Secondo i piani, i futuri equipaggi raggiungeranno l’orbita lunare con Orion, mentre scenderanno sulla superficie del nostro satellite con Starship. Passando, se necessario, per la futura stazione spaziale in orbita cislunare.
Il Lunar Gateway
Il Lunar Gateway sarà la prima stazione in orbita intorno alla Luna. Sarà costituita da 7 moduli, più un braccio robotico fornito dal Canada, per un peso totale dell’intera struttura di circa 40 tonnellate. Ispirato alla Iss, il Gateway sarà la ‘casa’ degli astronauti che viaggeranno verso il nostro satellite. Da qui gli equipaggi potranno raggiungere con la navetta Starship la superficie lunare, che a lungo termine sarà a sua volta equipaggiata con un Base Camp permanente. Ma, proprio come è oggi per la Stazione Spaziale Internazionale, il Gateway sarà anche un laboratorio dove svolgere esperimenti in assenza di gravità.
Artemis I
La tabella di marcia di Artemis ha subito diversi aggiustamenti nel corso degli ultimi anni. Se con l’amministrazione Trump si puntava a un (da molti già considerato irrealistico) ritorno dell’essere umano sulla Luna entro il 2024, ora la Nasa è molto più cauta. Tanto che non esistono date di lancio ufficiali al di fuori del volo inaugurale, al momento previsto per l’estate 2022.
Si tratta della missione Artemis 1 (precedentemente chiamata Exploration Mission-1, o EM-1), prima delle tre tappe fondamentali del programma lunare. Artemis 1 è un volo unmanned che metterà alla prova Sls e Orion, in una spedizione che vedrà un sorvolo ravvicinato del nostro satellite. La missione prevede anche il rilascio di 10 cubesat, tra cui l’italiano ArgoMoon, unico europeo tra i progetti selezionati dalla Nasa. La conferma ufficiale del lancio di Artemis 1 entro l’estate dipende dal successo dell’ultimo test dello Space Launch System, la cosiddetta ‘prova bagnata’ (dall’inglese wet dress rehersal).
Artemis II
Se tutto andrà come previsto con Artemis 1, seguirà Artemis 2: il primo volo di Orion con 4 astronauti a bordo. Sarà il primo equipaggio a lasciare l’orbita terrestre bassa dai tempi della prima citata Apollo 17 del 1972.
Il liftoff avverrà dal Kennedy Space Center della Nasa in Florida. La missione dura circa 10 giorni in tutto. Una volta raggiunta l’orbita lunare, Orion farà un flyby di 7.500 chilometri circa di distanza dalla superficie del nostro satellite. Per il ritorno la navicella sfrutterà il campo gravitazionale Terra-Luna, che la ‘tirerà’ indietro verso il nostro pianeta. Concluderà la missione uno splashdown nel Pacifico.
Artemis III
L’allunaggio spetterà invece ad Artemis 3. La Nasa non ha ancora svelato i dettagli della missione, ma ad oggi sappiamo che 4 astronauti prenderanno parte al secondo volo con equipaggio di Orion, e due di loro (tra cui la prima donna) raggiungeranno la superficie lunare.
L’allunaggio avverrà nella regione polare meridionale e prevede una permanenza sulla Luna di circa una settimana. I due astronauti condurranno alcune passeggiate spaziali sul suolo lunare, eseguendo una serie di osservazioni e campionamenti.
Luna italiana
Nel nuovo programma di esplorazione lunare c’è anche molta Italia. Alla fine del 2020 il nostro paese è stato uno degli 8 firmatari degli Artemis Accords, primo accordo di cooperazione internazionale per il ritorno pacifico sulla Luna. E molti sono i contributi scientifici e tecnologici italiani. L’Agenzia Spaziale Europea è il partner della Nasa di maggior peso per la realizzazione del Gateway, e in Europa il principale contributo alla stazione lunare è proprio quello italiano. Thales Alenia Space ha firmato con la statunitense Northrop Grumman un contratto per realizzare, nei suoi stabilimenti di Torino, la struttura primaria del modulo Halo del Gateway. E alla stessa azienda l’Esa ha affidato lo sviluppo dei componenti I-Hab ed Esprit. C’è poi l’ambizioso progetto Moonlight dell’agenzia europea, che punta a creare servizi lunari di comunicazione e navigazione: Thales Alenia Space Italia, insieme a Telespazio, sta lavorando a uno studio di fattibilità per mettere a punto il futuro sistema di comunicazione Terra – Luna che sarà cruciale per l’intero programma Artemis.
Ancora, dal nostro paese arriva lo sviluppo di un innovativo strumento che aiuterà nel posizionamento delle future sonde lunari e dello stesso Lunar Gateway: è Lugre (Lunar Gnss Receiver Experiment), ricevitore Gnss messo a punto dall’Agenzia Spaziale italiana in partnership con la Nasa. L’Italia finanzia anche la progettazione del Multi Purpose Module, una struttura pressurizzata che potrebbe evolversi in una sorta di ‘ascensore’ dal Gateway al Base Camp lunare.
Ma prima ancora di partecipare in prima linea al ritorno dell’essere umano sul nostro satellite, l’Italia avrà un occhio privilegiato sull’inaugurazione del programma lunare. ArgoMoon, il cubesat sviluppato a Torino dall’azienda Argotec su mandato dell’Agenzia spaziale italiana, sarà il primo a tuffarsi nello spazio durante la missione senza equipaggio Artemis 1. Documentando così il distacco di Orion dal razzo, tappa che darà ufficialmente il via al conto alla rovescia per vedere il prossimo uomo e la prima donna sulla Luna.
L’articolo è apparso sul numero 4 di Spazio 2050 Sulla Luna per restare