Quale sarà il modello economico per gli umani che popoleranno le colonie lunari o marziane? Non certamente quello che ha caratterizzato le società degli ultimi secoli sulla Terra a partire dal XVI secolo quando dalla nascita dell’economia industriale si afferma prepotente il modello ‘usa e getta’ dell’attuale economia dei consumi.
Uno studio delle Nazioni Unite fotografa per il 2023 la produzione di più di 400 milioni di tonnellate di plastica ogni anno in tutto il mondo, la metà delle quale è progettata per essere utilizzata solo una volta e solo meno del 10% viene riciclato. Per non parlare dell’inquinamento ambientale, dei mari e dell’aria.
Un modello dal quale prendere le distanze per le prime comunità di esploratori spaziali che, in un tempo non troppo lontano, popoleranno gli avamposti sul nostro satellite o su Marte. La conquista di nuove terre in ambienti ostili all’uomo tra radiazioni e gravità ridotta e distanti per rifornimenti a breve termine, – una media di tre giorni per la Luna e tra i sei e gli otto mesi per Marte-, impone la ricerca di soluzioni autonome per la sopravvivenza, a cominciare dal riutilizzo e riciclo dei rifiuti.
Cosa portare, come portarlo, quali materiali, che tipo di cibo, come ricavare acqua in autonomia ma soprattutto come ricavare da materiali organici e inorganici fonti di energia e produzione di nuovi oggetti in situ.
Da qualche decennio la scienza sta studiando alcuni processi di approvvigionamento per i futuri extraterrestri e la ricerca avanzata vede programmi dedicati da parte della Nasa e dell’Agenzia Spaziale Europea.
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Il progetto Melissa
Il progetto Micro-Ecological Life Support System Alternative – Melissa- dell’Esa studia un sistema di supporto vitale chiuso per riciclare l’aria, l’acqua e i rifiuti. Obiettivi: sviluppare la tecnologia per un sistema di supporto vitale rigenerativo (Lss) a circuito chiuso sicuro e affidabile per la presenza umana nello spazio, generare conoscenza sui bio-processi e sui sistemi accoppiati, utilizzare il know-how sviluppato attraverso l’implementazione tecnologica e il trasferimento di conoscenze.
Per sviluppare una economia circolare ‘spaziale’ si deve partire da quello che conosciamo e utilizziamo normalmente per vivere la nostra vita sulla Terra, a cominciare dal processo di scomposizione dei materiali per garantire quel processo virtuoso che trasforma il rifiuto in una risorsa preziosa.
Thales Alenia Space Italia, capofila per il Precursor Food Production Unit (PFPU) all’interno del programma Melissa, ha sviluppato un dimostratore di sistema orbitante, attualmente operativo a Terra e destinato ad essere operativo sulla ISS nel 2028.
Tra le tecnologie sviluppate ci sono diversi dimostratori per trasformare l’urina in energy drink o recuperare acqua di condensato da elementi organici. Il Pfpu mira a far crescere tuberi in microgravità che devono essere riforniti continuamente di sacche di soluzione nutritiva. Anche i contenitori dove vengono piantate le patate sono green perché realizzati in materiale plastico stampato in 3D. I requisiti posti come obiettivi sono due: non disturbare o interferire con la crescita della pianta ed essere riutilizzabili.
Al momento questa tecnologia è pensata solo per l’utilizzo in orbita ma nulla vieta che possa essere poi riutilizzata a Terra, come ad esempio il diodo a emissione di luce, noto come led.
«È necessario pensare alla fase di end of life del tuo equipaggiamento per ottenere attraverso il processo di smontaggio e separazione molecolare le analisi di possibile riciclo. Ad esempio, membrane a osmosi diretta possono, in caso di emergenza, riciclare l’urina per un energy drink. Le stesse membrane che sono state utilizzate per la trasformazione dell’urina in bevanda, si possono inserire nei cargo transfer bag e recuperare altro materiale che conterrà una percentuale ridotta ma significativa di materiale per schermare superfici dalle radiazioni», afferma Giorgio Boscheri, responsabile per Thales Alenia Space del progetto Pfpu- Melissa.
Mentre il materiale di packaging, quindi la plastica che viene utilizzata per il trasporto di cibo o altro materiale, viene studiato attraverso un processo di scomposizione per comprendere il loro utilizzo nel campo dell’Additive Manufacturing -AM-, cioè la stampa in 3D e non solo.
«Le prossime frontiere per l’adozione dell’AM includono la produzione nello spazio di grandi strutture, nonché la produzione sul pianeta di parti spaziali, infrastrutture di habitat e rifugi, insieme a nuovi metodi di stampa 4D e biostampa 3D per supportare futuri progetti con equipaggio a lungo termine e a lunga distanza», affermano Michael K. Ewert1 e James Lee Broyan, Jr.2 nello studio Mission Benefits Analysis of Logistics ReductionTechnologies.
Targati Thales Alenia Space studi mirati vanno nella direzione di eliminare alcuni elementi di disturbo per la AM come l’attenuazione del rumore e la tipologia di polimeri.
«Il NOise Reduction Architecture (NO.R.A.) è stato realizzato con un concetto modulare per una produzione additiva. Pensato per aumentare l’efficacia dei dispositivi per l’attenuazione del rumore, le cui proprietà fisiche sono state precedentemente ottimizzate mediante appositi software di ottimizzazione topologica, il NO.R.A. è uno strumento in grado di determinare combinazioni ottimali di dimensione dei pori e porosità per il massimo assorbimento acustico sull’intera banda di frequenza. I polimeri di fascia bassa vengono utilizzati per la stampa 3D, poiché sono molto facili da lavorare ed economici pur con utilità limitata per i sistemi spaziali, a causa delle basse proprietà meccaniche e delle limitazioni dell’ambiente spaziale. Secondo gli standard dell’Agenzia spaziale europea solo pochissimi polimeri sono adatti all’uso nello spazio come il polietere etere chetone (Peek) e la polieterimmide (Pei) che offrono le più elevate proprietà meccaniche, di degassamento e di resistenza alle radiazioni», spiega Antonia Simone, responsabile per Thales Alenia Space dell’unità materiali e soluzioni per le infrastrutture.
Oggi i rifiuti prodotti sulla Iss una volta utilizzati vengono riportati a Terra e bruciati al rientro ma perché non pensare al loro riutilizzo? La Kayser Italia, una piccola media impresa privata indipendente di ingegneria di sistemi aerospaziali, ha maturato una specifica esperienza sviluppando per Esa un dimostratore tecnologico per il riutilizzo di rifiuti organici o del packaging di scarto prodotto durante le missioni spaziali. Il progetto vede capofila l’università di Ghent in Belgio, responsabili della parte di sviluppo del materiale da utilizzare mentre in Italia è stata realizzata la tecnologia per l’inibizione e la compattazione del materiale di scarto di missioni spaziali da rimettere in circolo per un nuovo ciclo di vita.
Il dimostratore tecnologico BioPack
Il dimostratore tecnologico BioPack, sviluppato da Kayser Italia per il programma Melissa trasforma il biomateriale prodotto durante le missioni spaziali in risorsa. Un eventuale utilizzo a Terra potrebbe essere pensato per lo smaltimento dei rifiuti sulle grandi navi o in ambienti estremi.
Ma come funziona BioPack? «La fase più delicata è quella che avvia la trasformazione ma prima ancora di ipotizzare una nuova vita di questi materiali che da scarto possono diventare nuovamente risorsa con i sistemi biorigenerativi, è necessario sia compattare che rendere microbiologicamente inerte il materiale di scarto da elementi che possono averlo contaminato» afferma Michele Balsamo, responsabile dell’area Ricerca e Sviluppo per Kayser Italia.
“Per ora si tratta di uno sviluppo tecnologico per il riutilizzo di materiale organico come lo scarto alimentare dove il composto inserito in BioPack, viene inertizzato e compattato. Il risultato sono delle mattonelle di materiale compattato e stabilizzato dal punto di vista microbiologico, potenzialmente utilizzabile in sistemi biorigenerativi come fonte di nutrimento. Nulla esclude che modificando le specifiche applicazioni il sistema possa essere utilizzato per altri materiali. Le potenzialità applicative sono molteplici come, ad esempio, la stampa additiva per realizzare manufatti o materiale utile anche per schermature da radiazioni”, spiega Alessandro Donati, direttore operativo e marketing di Kayser Italia.