Immaginiamo di voler esplorare un luogo che ci è quasi sconosciuto, lontanissimo da casa e da qualunque forma di civiltà e il cui ambiente sappiamo essere ostile alla vita. Un posto in cui vorremmo costruire un avamposto, non prima di aver individuato la lo cation migliore, che sia possibilmente vicino a una fonte d’acqua. Una strategia adottabile potrebbe essere quella di mandare in avanscoperta una piccola squadra altamente specializzata, alla quale affidare il compito di raccogliere informazioni specifiche sull’ambiente per verificarne le criticità, e di testare tecnologie sviluppate ad hoc, in vista di una successiva spedizione, affinché questa abbia maggiori probabilità di riuscita e sia il più possibile priva di rischi per chi dovrà affrontarla.
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Il ruolo dei Cubesat nel programma lunare
È un po’ questa la filosofia alla base delle missioni cubesat che, nell’ambito del programma Artemis, la Nasa ha pianificato di inviare verso la Luna. E se ne capisce facilmente il motivo. Low cost, flessibili, sviluppabili in tempi brevi, i satelliti in formato small sono un con centrato di alta tecnologia di ultimissima generazione e si stanno rivelando, anche nel campo dell’esplorazione dello spazio profondo, strumenti dalle grandi potenzialità. Basti pensare a quanto fatto dall’italiano LiciaCube della missione Dart della Nasa. Ed ecco che nel contesto tempestato di incognite come quello del programma lunare, questi nuovi strumenti possono giocare un ruolo di grande rilievo.
Capstone, la pietra miliare
A fare da apripista è Capstone, acronimo che sta per Cislunar Autonomous Positioning System Technology Operations and Navigation Experiment, partito il 28 giugno scorso dalla Nuova Zelanda a bordo di un vet tore Electron di Rocket Lab. Come il nome suggerisce, Capstone è una pietra miliare, perché, di fatto, è la primissima missione dell’era Artemis e ne segna l’inizio sul campo.
Il satellite, dal peso di appena 25 kg dovrà testare la stabilità della Near Rectilinear Halo Orbit (Nrho) che è l’orbita in cui sarà posizionato la stazione cislunare Lunar Gateway, elemento fondamentale dell’archi tettura Artemis.
Capstone, giunto a destinazione il 15 novembre scorso, è in assoluto il primo veicolo a transitare nella Nrho e vi resterà per circa sei mesi, con l’obiettivo di verificare che i requisiti di potenza e propulsione necessari al mantenimento dell’orbita siano congrui rispetto alle previsioni elaborate dalla Nasa. Oltre a ciò Capstone dimostrerà l’affidabilità delle comunicazioni con le stazioni a terra e soprattutto di soluzioni di navigazione autonoma basate sulla comunicazione tra due sonde, dialogando direttamente con il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, attualmente operativo attorno alla Luna.
Artemis-1, la missione dei 10 nanosatelliti
La seconda spedizione di mini pionieri lunari è quella imbarcata nella missione Artemis-1, partita il 16 novembre alle ore 7:47 italiane dal Kennedy Space Center, in Florida: dei 10 nanosatelliti a bordo dello Space Launch System ben 5 sono dedicati al nostro satellite naturale.
ArgoMoon
ArgoMoon, satellite dell’Asi realizzato da Argotec per la Nasa ha l’incarico di produrre immagini della missione. Rilasciato con successo dall’Icps (Interim Cryogenic Propulsion Stage) circa 4 ore dopo il liftoff, il 17 novembre ArgoMoon aveva già inviato a terra due scatti significativi della Terra e della Luna. Il primo, utile alla calibrazione dei payload, mostra il nostro Pianeta da una distanza di circa 125.000 chi lometri. Il secondo è un ritratto alla Luna, catturato quando Orion si trovava a 278.500 chilometri dal no stro satellite naturale.
ArgoMoon è stato rilasciato con successo, e grazie alle telecamere ad alta definizione e a un software di imaging avanzato di cui è dotato, ha registrato immagini della Terra e della Luna.
Il microsatellite ha eseguito le operazioni di punta mento target attraverso l’utilizzo di un software per la navigazione autonoma la cui validazione sarà utile a future missioni nello spazio profondo, Luna inclusa.
Follow the water
Follow the water è invece lo slogan di Lunar IceCube, cubesat sviluppato dalla Morehead State University in collaborazione con il Goddard Space Flight Center della Nasa e la Busek Company, progettato per ‘fiutare’ l’acqua e altre risorse utili sulla Luna. Questo aiuterà le future missioni umane sul nostro satellite, per sfruttare al meglio le risorse in situ presenti sulla superficie lunare. Sempre a bordo di Artemis-1, il Lunar Polar Hydrogen Mapper (LunaH-Map) è un cacciatore di idrogeno in miniatura.
Progettato da ricercatori e studenti dell’Arizona State University, il cubesat ha l’obiettivo di studiare le ab bondanze di idrogeno nelle zone in ombra della Luna. Sorvolerà la Luna fno a una distanza tra circa 5 e 10 chilometri dalla sua superfcie, e costruirà una mappa dell’idrogeno lunare su una scala spaziale di circa 10 chilometri.
LunIR
Anche LunIR , il cubesat realizzato da Lockheed Mar tin, sorvolerà la Luna mappandone la superficie. Il suo obiettivo sarà però più legato alla caratterizzazione della superficie del nostro satellite, in modo da fornire dati aggiuntivi per la valutazione dei siti di allunaggio delle future missioni lunari con equipaggio.
Omotenashi
Infine Omotenashi, che in giapponese significa ‘ospitalità’. Ad ospitarlo sarà la Luna stessa: il cubesat, sviluppato dall’agenzia spaziale Jaxa, invierà un nanolander da 1 chilogrammo sulla superficie lunare. Questo lander in miniatura misurerà la radiazione della superficie del nostro satellite e ne studierà la meccanica del suolo utilizzando accelerometri. Omotenashi (Outstanding Moon exploration Techno logies demonstrated by Nano Semi-Hard Impactor) vuole dimostrare che i futuri lander lunari potranno essere di ogni dimensione e costo.
L’articolo è tratto da Spazio 2050