Mentre la Terra si prepara a salutare Papa Francesco nel solenne funerale di sabato, il cielo sembra farsi più vicino. Non solo quello spirituale, dove molti lo immaginano già pellegrino tra i santi, ma anche il cielo fisico, concreto, il firmamento che lui ha amato evocare e abitare con parole, gesti e simboli. In un tempo in cui la Chiesa sembrava spesso confinata ai suoi riti e ai suoi muri, Francesco ha alzato gli occhi e il cuore all’universo, indicandolo come spazio di fede, dialogo, meraviglia e fraternità. Tra collegamenti con gli astronauti in orbita, la benedizione di satelliti, riflessioni teologiche sull’esistenza di vita extraterrestre e un costante appello alla scienza come compagna della fede, il pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo” è diventato anche il Papa delle stelle. E oggi, mentre la Chiesa intera piange la sua scomparsa, risuona con forza una delle sue frasi più luminose: «Tutti noi viviamo sotto lo stesso cielo».
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Il Papa che parlava agli astronauti
Era il 26 ottobre 2017 quando Francesco, dall’Auletta di San Pietro, si collegò in diretta con la Stazione Spaziale Internazionale. In orbita a 400 chilometri dalla Terra, gli astronauti dell’Expedition 53 – tra cui l’italiano Paolo Nespoli, insieme a colleghi americani e russi – dialogarono con lui non di tecnologia, ma di senso, di umanità, di infinito. Francesco chiese cosa provassero guardando la Terra da lassù e quale fosse il loro pensiero sull’amore, sulla collaborazione, sul destino dell’uomo. Alla fine, li definì «un piccolo Palazzo di Vetro», un modello di convivenza internazionale dove la totalità è più grande della somma delle parti. La Stazione Spaziale diventava così, agli occhi del Papa, una parabola sospesa nel cielo, una cattedrale della cooperazione umana.
“Dallo spazio non si vedono confini”
Otto mesi più tardi, l’8 giugno 2018, ricevette quegli stessi astronauti in Vaticano. In quell’occasione Nespoli raccontò ciò che più lo aveva colpito: la bellezza e la fragilità del nostro pianeta, e il fatto che dallo spazio non si vedono più frontiere. È un punto di vista che Francesco ha sempre fatto proprio: nel suo magistero ha insistito sulla casa comune, sul destino condiviso, sul superamento delle barriere tra popoli. Anche per questo, rivolgendosi agli astronauti, ribadì che rappresentavano «tutta la famiglia umana». E quando gli venne donata una tuta spaziale bianca con mantellina e ali d’angelo, quel gesto affettuoso sembrò sigillare una comunione inedita: tra cielo e terra, tra scienza e spirito.
Un satellite per la speranza
La testimonianza di Papa Francesco nello spazio non si è fermata lì. Il 13 giugno 2023, la Santa Sede lanciò Spei Satelles, un CubeSat realizzato in collaborazione con l’ASI e il Politecnico di Torino. Al suo interno, un “nanolibro” contenente il messaggio Statio Orbis, pronunciato dal Papa nel marzo 2020 durante la pandemia. Quel piccolo satellite – benedetto da Francesco in persona prima del lancio da Vandenberg, in California – continua a orbitare intorno alla Terra, trasmettendo segnali radio con parole di conforto. In un’epoca dominata dalla paura e dall’isolamento, Francesco decise che la speranza dovesse viaggiare oltre l’atmosfera, diventare visibile alle antenne e udibile nei cieli. La fede, per lui, era sempre anche comunicazione.
E se venissero i marziani?
Nel maggio 2014, in un’omelia a Casa Santa Marta, Papa Francesco pronunciò una frase diventata celebre: «Se domani arrivasse una spedizione di marziani e uno di loro volesse essere battezzato… cosa succederebbe?». Era una provocazione, certo. Ma anche una lezione teologica: nessuno deve essere escluso dalla fede. Il riferimento era alla libertà dello Spirito Santo, che soffia dove vuole e può aprire porte inattese. La riflessione di Francesco trovava eco anche negli studiosi della Specola Vaticana. Il gesuita José Gabriel Funes dichiarò che «è possibile credere in Dio e negli extraterrestri», mentre Fratel Guy Consolmagno affermò che esseri senzienti, se esistessero, avrebbero un’anima. La Chiesa, spiegava, sarebbe pronta ad accoglierli. Una teologia cosmica, potremmo dire, che non teme il futuro.
La scienza come sorella della fede
Più volte Francesco ha affermato che la vera scienza non è nemica della fede. Nel 2016, rivolgendosi agli astrofisici della Specola Vaticana, ricordò che Leone XIII, fondatore dell’osservatorio vaticano, volle dimostrare proprio questo: che la Chiesa è amica della “vera e fondata scienza”. Lo studio dell’universo, spiegava Francesco, deve integrare tre livelli: quello scientifico, quello filosofico e quello spirituale. Solo così si può raggiungere la sapienza, quella comprensione profonda che apre al mistero. E citando Dante, ammoniva: «È l’amore che muove il sole e le altre stelle». Era l’amore per la verità, per l’universo, per l’umanità che doveva animare ogni ricerca.
“Non perdete mai il senso dello stupore”
In uno dei suoi ultimi messaggi alla Specola Vaticana (giugno 2023), Francesco lasciava un testamento ideale ai ricercatori: non smettete di stupirvi. La scienza e la fede, diceva, progrediscono solo se non si ha paura di essere sorpresi. «La cosa più sorprendente di questo universo – scriveva – è che possiamo contemplarlo». Lo stupore, per lui, era il motore della ricerca, ma anche della preghiera. Era la scintilla che unisce le equazioni e le invocazioni, le orbite e le meditazioni. E oggi, nel giorno del silenzio e del lutto, quella scintilla ci guida ancora.
Francesco non è stato un pontefice “tecnologico” nel senso moderno. Ma è stato un Papa cosmico. Ha spinto la Chiesa oltre i confini terrestri, l’ha resa capace di dialogare con ingegneri e scienziati, di benedire razzi e satelliti, di contemplare le stelle come icone del mistero. In un tempo di divisioni, ha indicato nel cielo un orizzonte comune. E ora che il suo corpo riposa sulla terra, il suo sguardo – come quello degli astronauti da lui tanto amati – resta fisso sulle meraviglie del cielo.
Addio, Papa Francesco. Sotto questo stesso cielo, continueremo a cercare la verità.