“La nostra prossima missione? Dare vita al cloud dello Spazio”: lo annuncia a Spaceconomy360 Sergio Mucciarelli, Head of Software Solutions di D-Orbit, azienda italiana già riconosciuta a livello internazionale e che sta crescendo a ritmi record.
Sei gli Ion (In-OrbitNow) già in orbita – l’ultimo lanciato il 25 maggio – altri 3 sono in rampa per l’autunno, 13 quelli in cantiere per il prossimo anno e per il 2024 si punta a una ventina. Attività che faranno balzare i conti: se il fatturato 2021 si è chiuso intorno ai 3-3,5 milioni di euro per fine 2022 si stima di arrivare alla soglia dei 20 milioni per poi “volare” a 40-50 già il prossimo anno in cui potrebbe essere già raggiunto il break even (l’obiettivo è fissato fra il 2023 e il 2024).
Mucciarelli sarà di fatto una crescita esponenziale.
Abbiamo già una nostra piccola costellazione e abbiamo a bordo clienti paganti che hanno satelliti, che eseguono i loro esperimenti a bordo, quindi la nostra attività sta andando avanti sia sul fronte commerciale sia degli accordi e delle partnership. Stiamo lavorando con aziende importanti come Planet che opera nell’ambito Osservazione della Terra ed anche con startup e università. C’è un interessante mix di opportunità commerciali nell’ambito della new Space economy grazie alle attività di aziende consolidate e di altre che si stanno progressivamente affacciando sul mercato. E poi vantiamo progetti con Elecnor Deimos, Aistech, Lockheed Martin, Satrevolution, Cysec, l’Università del Cile e l’Instituto de Astrofísica de Canarias.
Il cloud nello Spazio: in cosa consiste?
Ion nasce come mezzo di trasporto spaziale, ma visto è esso stesso un satellite: ha una sua propulsione, computer di bordo, possibilità di fornire energia. Per questo abbiamo iniziato a ragionare in ottica di servizio ai clienti in termini di capacità computazionali. Gli Ion diventeranno dunque veri e propri nodi spaziali e il nostro obiettivo è effettuare tutta una serie di elaborazioni di dati dai satelliti direttamente nello Spazio prima di spedirle a Terra. È una questione molto importante: si potranno abbattere i colli di bottiglia nella comunicazione Spazio-Terra e migliorare l’efficienza operativa a fronte di risparmi sui costi. Mandare a Terra informazione già compattate – quindi meno pesanti – ma soprattutto effettivamente utili rappresenterà una svolta. Per farle un esempio: nell’ambito delle operazioni di Osservazione della Terra spedire immagini di territorio non visibili a causa delle nuvole potrà essere evitato grazie ai sistemi computazionali che andranno a scartare le immagini inutilizzabili. Abbiamo già iniziato con il nostro quarto Ion a fare le prime sperimentazioni interne e siamo in fase avanzata: il prossimo anno vorremo già poter fornire la comunicazione fra diversi Ion – il cosiddetto intersatellite link – e nella seconda metà del 2023 potrebbero essere disponibili servizi più evoluti. Posso dire che abbiamo sempre dato grande importanza al cloud e da qui l’accordo con Aws.
Quali gli ambiti delle iniziative che state portando avanti con Aws?
Abbiamo già portato avanti due importanti iniziative a partire dallo sviluppo del software di controllo missione “Aurora” sviluppato in architettura cloud – siamo partiti ufficialmente a inizio 2020. Abbiamo messo a punto un software di controllo che gira su qualsiasi browser e ci siamo accorti in piena pandemia di quanto fosse importante: abbiamo potuto gestire tutto da remoto. Poi ci siamo agganciati alle Aws ground station. Abbiamo iniziato la nostra operatività con la nostra antenna nella nostra sede principale di Fino Mornasco (in provincia di Como, ndr) ma ciò comportava il limite di poter “colloquiare” con i satelliti solo quando passavano sulla nostra orbita e solo per 7 minuti. Le Aws ground station sono una decina e quindi ora abbiamo una copertura globale che ci aiuta a gestire al meglio le finestre di visibilità del satellite: 7 minuti sono pochi e quindi la maggiore ci consente di ottimizzare i tempi. A tal proposito abbiamo partnership anche con altre ground station.
Veniamo al business, da dove arriva il fatturato e quali sono i vostri mercati di riferimento?
Le revenue dall’Italia sono fra il 10-15% quindi la parte più consistente fa capo alle attività internazionali in primis dal mercato statunitense, attualmente il più florido. Abbiamo fra l’altro un ufficio di rappresentanza a Washington e puntiamo a una sede dopo quelle di Lisbona in Portogallo e Harwell nel Regno Unito. Poniamo grande attenzione al mercato europeo e poi a quelli emergenti soprattutto Sud America e Asia, ci sono diverse opportunità.
La crescita farà il paio anche con le assunzioni?
Siamo oltre 200, continuiamo e continueremo ad assumere in virtù della crescita e di ciò che ci servirà. La maggior parte delle risorse ha competenze specifiche, molti i laureati in discipline dell’aerospazio e tanti quelli che vengono dal Politecnico di Milano. Ma avremo sempre più bisogno di esperti di finance e marketing e in futuro di altre figure in vista della nostra evoluzione.
Come vi evolverete?
Siamo un’azienda di trasporto spaziale e ci stiamo trasformando in un’azienda di servizi e logistica spaziale: partiremo con il cloud e nel 2026-2027 abbiamo in mente di lanciare il primo vettore per la logistica spaziale. Le opportunità sono enormi: si potrà lavorare per la riparazione di materiali e pezzi di satelliti ma anche gestire operazioni robotiche.