L’inquinamento spaziale non è solo quello creato dai rottami e dai detriti, ma anche quello proveniente da tutte le sostanze che si generano durante il lancio e con la combustione dei satelliti e delle loro parti durante il deorbitamento. È questo uno dei nuovi orientamenti di studio da parte di università, centri di ricerca e anche enti governativi nei riguardi della space economy che puntano ad allargare lo sguardo sulle conseguenze dell’aumento esponenziale dei lanci e degli oggetti in orbita intorno alla Terra.
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I particolati nemici dell’ozono
Il problema della sostenibilità ambientale dovuto al crescente affollamento dello spazio non è dunque legato solo al pericolo potenziale per gli altri satelliti, ma ad altri inquinanti. Tra questi ci sono i particolati destinati ad accumularsi dalla Mesosfera e le particelle di alluminio nella Stratosfera dove possono intaccare lo strato di ozono, come affermato in “Atmospheric impacts of the space industry require oversight” studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience.
Strati superiori non regolamentati
Realizzato da Jamie Shutler, professore associato dell’Università di Exeter, in Cornovaglia, il documento mette in risalto come il Protocollo di Montreal dia indicazioni legislative sui limiti per la Troposfera e Stratosfera, ma non per gli altri strati più esterni come la Mesosfera, la Termosfera e l’Esosfera che tuttavia hanno un effetto acclarato sullo scambio termico e le radiazioni che interessano la Terra e che dunque hanno conseguenze precise sul clima.
Prevenire è meglio che inquinare
Citando il rapporto lo Space Environment Report 2021 dell’Esa. Shutler ricorda che in orbita ci sono oggetti per una massa di 9.855,5 tonnellate delle quali meno del 5% si riferiscono a oggetti funzionanti, ma soprattutto che sarebbe importante per il mondo scientifico conoscere i materiali dei quali missili, satelliti e navicelle sono costruiti per iniziare con l’industria e i progettisti un serio lavoro di prevenzione e di studio sugli effetti della space economy e i rimedi per renderla davvero sostenibile.
Deorbitamento e ossidi d’azoto
Si concentra sugli stessi temi un altro studio pubblicato dalla rivista Earth’s Future dai ricercatori della University College London (Ucl), della University of Cambridge e del Massachusetts Institute of Technology (Mit). Anch’essi mettono sotto la lente gli effetti creati dai lanci e dai detriti sul clima globale. Eloise Marais, della Ucl, afferma che la combustione di quest’ultimi provoca la formazione di ossidi di azoto (NOx) che hanno un impatto diretto sullo strato d’ozono oltre ad essere i responsabili riconosciuti delle piogge acide.
Misurare l’impatto di SpaceX
Marais sta anche portando avanti uno studio per misurare l’impatto della costellazione Starlink e del programma Starship di SpaceX. I risultati definitivi devono ancora arrivare, ma “certamente quelli provvisori suggeriscono che il sostanziale aumento dei lanci satellitari e i ritorni anticipati dei satelliti dal programma Starlink sono causa di preoccupazione” ha affermato la studiosa che insegna Geografia Fisica presso il prestigioso ateneo britannico e auspica soluzioni più sostenibili per la space economy.
Il Congressso è già informato
Ulteriore contributo sugli effetti dei rientri dei satelliti viene anche dal documento “Large Constellations of Satellites: Mitigating Environmental and Other Effects”, rapporto realizzato lo scorso settembre dallo U.S. Government Accountability Office (Gao) per il Congresso americano. Anch’esso, citando autorevoli fonti scientifiche, conferma che il deorbitamento di oggetti dallo spazio genera sostanze inquinanti. E questo già con 5.500 satelliti attivi, figuriamoci con i 58mila previsti per il 2030.
I materiali esotici e i motori dei razzi
Il documento parla inoltre di “materiali esotici” che si creano in queste fasi ovvero vernici, resine, resine epossidiche, persino materiali tossici e radioattivi che provengono in particolare dagli apparati e dalle batterie utilizzati per tali applicazioni. Anche in questo caso si parla di particelle e gas che possono influenzare le temperature atmosferiche e danneggiare lo strato di ozono e che anche i motori dei razzi producono emissioni dannose che però possono essere mitigate.
Servono più dati sui materiali
Ma forse le affermazioni di principio più importanti del rapporto sono che “l’entità e la significatività di questi effetti sono scarsamente compresi a causa di una mancanza di dati osservativi e non è ancora chiaro se la mitigazione è garantita” e che la cooperazione con l’industria per sapere come le navicelle sono fatte aiuterebbe a comprendere meglio come i materiali reagiscono durante il rientro e a formulare finalmente dei modelli scientifici utili a stabilire il grado di sostenibilità della space economy e a migliorarlo.