Lo spazio è un formidabile acceleratore di brevetti nel campo dei sensori, ma l’Europa è dietro a Usa e Cina nonostante abbia in Copernicus la rete di Osservazione della Terra che produce più dati al mondo. Lo rivela “Space-borne sensing and green applications” uno studio di 31 pagine realizzato dall’Ufficio Brevetti Europeo (Epo – European Patent Office) e lo European Space Policy Institute (Espi) in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
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I brevetti sui sensori: +1.800% in 20 anni
Lo studio, che fa parte di un ciclo di tre ricerche dedicate ai brevetti, mette sotto la lente le tendenze globali nel campo della applicazioni ‘verdi’ derivate dalle sensoristica messa a punto per utilizzi spaziali e ha scoperto che i brevetti creati da questo settore sono cresciuti dal 2001 al 2020 del 1.800% rispetto al 400% del totale, ma che l’Europa occupa solo il 23% di questo incremento pur avendo tra le mani lo strumento tecnologico più potente.
Metà dei nuovi sensori utili all’ambiente
Secondo il report, nel ventennio sono stati depositati oltre 75,5 milioni di brevetti in totale per tutti i settori, di questi 29.295 riguardano la sensoristica spaziale e 14.529 hanno avuto un’applicazione nella tutela dell’ambiente, dunque la metà. Un numero sicuramente apprezzabile da un punto di vista globale, meno da una prospettiva europea poiché, anche in un campo dove il nostro Continente può guardare dall’alto in basso le altre potenze spaziali, deve subire la loro capacità di trasformare l’attività di ricerca in conoscenze spendibili commercialmente.
Cina deposita in casa, Usa dappertutto
In particolare, la Cina prevale per il numero di brevetti depositati in patria mentre gli Usa sono i numeri uno per quelli registrati a livelli internazionali che in totale sono stati 2.125. Di questi, 185 sono cinesi, 706 americani e 42 italiani che ha depositato internazionalmente ben il 76% dei propri brevetti. Questo rapporto varia moltissimo: si va dal 2% per la Cina fino all’89% di Gran Bretagna, 86% della Francia e 83% della Germania. La media europea si attesta intorno al 70%, pari a quella del Canada e di molto superiore a qualsiasi altra potenza tecnologica, compresi il Giappone (27%) e Corea del Sud (13%).
Il ruolo dell’Italia
Altrettanto impressionanti i numeri relativi agli enti depositari: i primi nove sono cinesi sul computo totale mentre, contando solo quelli internazionali, la giapponese Nec (63) prevale su Airbus (41) mentre la Thales è a quota 25, la Basf a 14 e l’Esa a 13. A livello europeo, l’unica presenza italiana è Telespazio (ottava con 10 brevetti). Dal punto di vista tecnologico fa la parte del leone il settore dell’elaborazione del segnale (oltre il 70%) seguito da quello delle microonde (come il radar ad apertura sintetica), dall’ottica (Lidar, radiometria e ottica passiva) e dalla gravimetria.
Il tempo delle decisioni
L’applicabilità di tali tecnologie segue tre direttrici: cambiamento climatico, protezione ambientale ed economia sostenibile, ma c’è evidentemente uno squilibrio con altre realtà che dovrà essere affrontato anche a livello politico. L’occasione propizia arriverà presto: il 22 e il 23 novembre prossimi con il Consiglio Esa che vedrà la partecipazione dei ministri competenti dei rispettivi 22 membri dall’Agenzia Spaziale Europea. La riforma che il direttore Josef Aschbacher proporrà, denominata Agenda 2025, sarà incentrata proprio su tali direttrici, accanto alla sicurezza delle comunicazioni, alla reattività in caso di crisi e alla resilienza mirando al rafforzamento dell’Esa per farne un leader mondiale nel 2035.