L'INTERVISTA

Dati satellitari per monitorare i laghi: la nuova sfida dell’Irea

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Il ricercatore Mariano Bresciani dell’Istituto che rappresenta una delle punte di eccellenza del Cnr: “Attualmente attraverso le misure in situ si riesce a monitorare solo lo 0,1% dei 110 milioni di laghi presenti sul nostro pianeta. Con i dati da satellite si può arrivare a più dell’80%”. Già in corso un progetto

Pubblicato il 31 Ago 2022

Marco Faggioli

lago

Le tecnologie satellitari rappresentano uno strumento indispensabile e imprescindibile a supporto della ricerca scientifica in campo ambientale e, per diretta conseguenza, della green economy e di tutte le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

L’Irea (Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente) è uno degli Istituti di eccellenza del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e le sue attività di ricerca oltre a contribuire allo sviluppo scientifico e tecnologico, hanno numerose ricadute applicative in ambiti di rilevanza strategica quali il monitoraggio dell’ambiente e del territorio, la sicurezza, la sanità e la salute.

Per comprendere come un grande istituto di ricerca utilizza i dati satellitari e come i risultati delle attività vengono trasferiti in campo applicativo (e commerciale) da agenzie governative (come l’Ispra) o aziende private abbiamo intervistato Mariano Bresciani, ricercatore dell’Irea che, con le colleghe Claudia Giardino,  Monica Pinardi ed Erica Matta, si occupa di ricerca sugli ambienti acquatici interni (laghi, fiumi, zone umide).

Bresciani di cosa si occupa esattamente il Cnr Irea?

Come istituto di ricerca ci occupiamo in generale dello studio del segnale elettromagnetico e del suo utilizzo per ottenere conoscenza in campo ambientale, in campo ingegneristico e in campo diagnostico e della salute. Per la parte specifica di telerilevamento abbiamo un’esperienza trentennale nel trattamento dei dati non solo di tipo satellitare ma anche derivanti da immagini aeree e da drone. Abbiamo inoltre una grande esperienza nell’acquisizione di dati in situ che sono fondamentali per effettuare la validazione e calibrazione dei prodotti ottenuti dalle immagini telerilevate.
Nello specifico ci occupiamo sia di dati ottici che di dati radar.
Nella sede di Milano abbiamo una grandissima esperienza nel campo del dato ottico (telerilevamento di tipo passivo) e lavoriamo su tutto lo schema di processamento del dato.
Partiamo dal dato grezzo (radianza associata ai singoli pixel dell’immagine), lo ripuliamo da tutti i possibili disturbi e rumori (correzione atmosferica, correzione radiometrica, presenza di nuvole, ecc.) e otteniamo la riflettanza.
Realizziamo e applichiamo poi una serie di algoritmi, modelli fisicamente basati o data driven con approcci di Machine Learningper trasformare il segnale di riflettanza nei parametri bio-geofisici ambientali specifici, come per esempio la stima della biomassa della vegetazione, la concentrazione di clorofilla nelle acque, lo spessore del manto nevoso.
Il successivo e ultimo livello del processamento delle immagini è l’aggregazione dei dati per produrre serie temporali sulle quali poter fare le dovute analisi e considerazioni.

Su quali fronti siete impegnati nello specifico?

Ci occupiamo di differenti tipologie di risorse naturali: attualmente c’è il nostro gruppo che si occupa di acque (in particolare laghi, zone di transizione, fiumi e zone costiere), c’è un gruppo che si occupa di agricoltura “digitale” e di precisione (precision farming), c’è un gruppo che si occupa di incendi e dei loro impatti a livello ambientale e un gruppo che si occupa di integrare tutti questi dati, crearne la metadatazione e realizzare dei sistemi per l’informazione geografica in modo da rendere questi dati disponibili e fruibili.

 Quali dati satellitari utilizzate per le vostre ricerche?

Da sempre lavoriamo con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi): siamo coinvolti in numerosi progetti relativi al sensore iperspettrale Prisma e stiamo collaborando con ASI allo sviluppo del sensore Prisma di seconda generazione. Per il resto, dipende dal progetto di ricerca a cui stiamo lavorando. Se è un progetto finalizzato alla validazione di un sensore o di una tecnologia, come nel caso del sensore Prisma, dobbiamo utilizzare i dati generati in quell’ambito, utilizzando poi, i dati di altri sensori per confrontare l’accuratezza dei dati ottenuti.

In generale il 90% dei dati che utilizziamo sono dati free (come i dati Copernicus dei satelliti Sentinel o alcuni dati Nasa quali quelli dei satelliti Landsat) o dati a cui accediamo gratuitamente partecipando a bandi che prevedono un contribuito in termini di messa a disposizione di dati ad alta risoluzione spettrale per determinate aree di studio.

I dati ad altissima risoluzione spaziale sono, in genere, ancora a pagamento. Per questo motivo se per il progetto servono dati spazialmente molto accurati possiamo procedere con l’acquisto.  In questo contesto ci sono molte aziende che si stanno impegnando per lanciare microsatelliti e utilizzare droni con specifici sensori. Con queste aziende possiamo instaurare un rapporto commerciale per avere un servizio specifico di acquisizione delle immagini.

Come si inquadrano le vostre attività di ricerca?

Le nostre attività di ricerca sono inquadrate in vari contesti e ci sono diverse tipologie di progetti che possiamo sviluppare o a cui possiamo prendere parte. Ci sono progetti dedicati alla valutazione qualitativa dei dati (per esempio del sensore Prisma o del sensore Msi – Multi Spectral Instrument – dei Sentinel 2), ci sono progetti dedicati all’implementazione di algoritmi per la stima dei parametri di qualità dell’acqua (progetto H2020 Primewater) e dello studio degli ambienti costieri (progetto Costelab) e ci sono progetti finalizzati all’applicazione pratica dei prodotti realizzati, in particolare per la valutazione dei cambiamenti climatici in corso (progetto Esa Cci-Lakes e progetto Fire-Cci).
Il progetto H2020 Water-ForCe per esempio, è finalizzato a definire una roadmap di tutto quello che può essere utilizzato del programma Copernicus per il monitoraggio e la gestione della risorsa idrica.

Infine ci sono i progetti specifici come il progetto H2020 Hypos (Hydropower Management from Space) che cerca di integrare il dato satellitare con la modellistica idrologica per fornire un supporto ai gestori delle dighe di alcuni siti a livello internazionale (es. laghi alpini) per l’ottimizzazione dell’utilizzo della risorsa idrica o ancora i progetti a carattere ecologico/ambientale come la collaborazione con Regione Lombardia che ci ha richiesto la creazione di mappe relative alla vegetazione acquatica e alla qualità delle acque del Lago di Varese.

Ci sono poi progetti realizzati in collaborazione con grandi aziende, per lo più del comparto agricolo, che necessitano di informazioni specifiche per ottimizzare le proprie produzioni.

 Che tipo di rapporti si possono sviluppare con soggetti privati all’interno di un progetto di ricerca?

Innanzitutto è necessario fare una distinzione tra le tipologie di ecosistemi indagati nel progetto. Quando l’ecosistema studiato è di tipo naturale e pubblico (laghi, fiumi, ecc.) si instaurano prevalentemente collaborazioni con gli enti pubblici che si occupano di gestione dell’ambiente, come per esempio le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (Arpa) e con realtà commerciali come per esempio e-Geos, Planetek e Water Insight che producono sensoristica e/o portali per la gestione dei dati. In altri contesti, come quello del monitoraggio agricolo, le realtà private hanno un peso maggiore perché ci sono interessi commerciali specifici e una componente di business molto alta. In questi ambiti l’Irea partecipa a diversi progetti privati finalizzati alla fornitura di mappe dello stato delle colture a supporto della gestione o della valutazione dei rischi o danni.

 Ci sono esempi di progetti di ricerca che, una volta conclusi, hanno portato allo sviluppo di applicazioni o attività commerciali autonome?

Certo. L’esempio più interessante ed emblematico è probabilmente quello dell’azienda agricola Bonifiche Ferraresi. Con loro come end-user, i colleghi Irea, come Mirco Boschetti, che si occupano di vegetazione terrestre hanno coordinato il progetto europeo Ermes che ha permesso la realizzazione di un importante studio per lo sviluppo di prototipi di algoritmi per l’analisi di immagini satellitari di nuova generazione. Terminato il progetto, visti i buoni risultati sul sito test, l’azienda ha manifestato l’interesse all’applicazione pratica della tecnologia sviluppata. Ci hanno quindi proposto di proseguire le attività con un progetto privato di “trasferimento tecnologico” e “sviluppo di prototipi” al termine del quale si sono resi autonomi nella gestione delle catene di processamento a supporto delle pratiche agricole dell’azienda stessa e fornendo servizi digitali al mercato agricolo italiano.
Di fatto c’è stato un grosso sforzo per l’implementazione e validazione degli algoritmi e, una volta che tutto il sistema si è rivelato sufficientemente robusto e affidabile, c’è stata una fase di training durante la quale in nostro Istituto ha fornito all’azienda il background di esperienza e conoscenze sia nella gestione del dato satellitare e geo-spaziale in generale sia nella gestione degli algoritmi necessari per la produzione continua di mappe contenenti le informazioni utili alla loro attività.

A questo punto il contributo dell’Irea (e quindi della ricerca) è diminuito e l’azienda ha creato all’interno di una società dedicata “Ibf-Servizi” un team di lavoro autonomo per l’implementazione dei workflow e la generazione dei prodotti ottenuti da dati satellitari gestendosi autonomamente i software e gli algoritmi.

Oggi Ibf-Sevizi è in grado di autoprodursi le mappe di cui necessitano e la nostra consulenza scientifica è diventata saltuaria, solamente per gestire le modifiche e gli aggiornamenti delle tecnologie e dei software o per lo sviluppo di prototipi di nuovi prodotti. Quanto avvenuto con Bonifiche Ferraresi segue lo schema ideale del trasferimento tecnologico: un progetto di ricerca che porta allo sviluppo di un progetto privato che porta a sua volta all’autonomia dell’azienda.

 Come avviene la promozione delle vostre ricerche e delle relative potenzialità verso il mondo commerciale?

Come attività ultimamente, spinti anche dalla pandemia di Covid-19, abbiamo realizzato molti webinar per far conoscere i nostri progetti, spiegare cosa facciamo e illustrarne le relative potenzialità. Come strumento invece, ciò che crea il maggiore interesse sono senza dubbio i portali. Il programma Horizon 2020 (Programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione 2014-2020) richiede espressamente ai progetti finanziati di creare dei portali a cui, previa semplice registrazione, chiunque può accedere e visualizzare i prodotti realizzati.

Accedendo al portale di Hypos, per esempio, è possibile vedere tutti i prodotti che vengono generati nelle aree di studio: i dati della clorofilla generati dall’elaborazione dei dati Sentinel 2, la modellistica ecologica, il regime idrologico in entrata e uscita dagli invasi oggetto di studio e molto altro. Un soggetto potenzialmente interessato può quindi vedere e provare direttamente il prodotto finale e valutarne le potenzialità applicative anche in altri contesti. Non c’è più bisogno dell’esperto che deve leggersi e interpretare gli articoli scientifici.

In questa ottica i nostri webinar sono diventati vere e proprie presentazioni di questi portali. Le potenzialità di questo sistema sono enormi; nell’ambito del progetto H2020 PrimeWater, per esempio, all’interno del portale è stato creato addirittura un virtual lab in cui un soggetto interessato può entrare e utilizzare gli algoritmi e i codici che abbiamo realizzato per processare i propri dati.

 Con quale policy sono messi a disposizione questi portali?

La policy è variabile. La visualizzazione è sempre completamente free. Molti dati sono direttamente scaricabili in formato immagine .jpg o come dato ambientale del singolo punto selezionato. Non si può scaricare però tutto l’archivio dati che è gestito invece con altre policy.

Naturalmente i dati sono disponibili solo per le aree di studio considerate ma i soggetti interessati ad applicare le tecnologie nelle proprie aree di studio possono contattare il coordinatore del progetto che potrà proporre un contratto per implementare lo studio e la relativa produzione di materiale nelle aree di interesse. I progetti europei H2020 sono strettamente indirizzati allo sviluppo di questo genere di collaborazioni commerciali. La qualità di un progetto è definita dalla sua capacità di generare rapporti commerciali più che dalla pubblicazione di articoli scientifici, dalla registrazione di brevetti e dalle partecipazioni a convegni.

Per un istituto di ricerca come il nostro non è semplice adattarsi a questa nuova politica di distribuzione dei fondi europei per la ricerca. Il Cnr è un ente pubblico che ha il compito di realizzare progetti di ricerca scientifica; possiamo sicuramente fare accordi commerciali e contratti a breve termine per fornire prodotti specifici ma non possiamo fare contratti commerciali generici, a lunga durata e senza avere un budget stimato dettagliato.

Molti istituti hanno ormai conoscenze e tecnologie robuste che potrebbero permettere tranquillamente uno sviluppo in campo commerciale ma rimangono da risolvere le questioni più strettamente burocratiche e legislative relative all’inquadramento di tali attività nella realtà amministrativa, nella mission e nella struttura dell’ente.

Quali sono  le potenzialità più interessanti a medio e lungo termine delle tecnologie satellitari che state sviluppando?

Attualmente sono in programma la realizzazione e la messa in orbita di tantissimi sensori: quello che vorremmo riuscire a fare, nel comparto acquatico, è di arrivare ad avere una accuratezza e robustezza tali da permettere che i dati ambientali ottenuti da tecnologie satellitari possano avere lo stesso valore ed essere riconosciuti anche a livello normativo al pari dei dati raccolti in situ.

Questo rappresenterebbe uno sviluppo enorme. Attualmente attraverso le misure in situ si riesce a monitorare solo lo 0,1% dei 110 milioni di laghi presenti sul nostro pianeta. Con i dati da satellite potremmo monitorarne più dell’80% e potremmo capire, di conseguenza, molto di più delle dinamiche dei sistemi acquatici e ambientali in generale. I dati ottenuti da tecnologie satellitari non potranno però sostituire del tutto l’acquisizione del dato in situ. Sarà sempre una tecnologia di integrazione: i dati di input ossia di conoscenza diretta raccolti sul posto, saranno sempre necessari. Attualmente abbiamo tutto quello che ci permette di sapere come sta il nostro ambiente e come si evolve. Sta a noi, a questo punto, decidere se e come utilizzare questa conoscenza.

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