L’Italia scommette sui nanosatelliti con Alcor, il programma dell’Agenzia Spaziale Italiana volto a finanziare lo sviluppo di cubesat made in Italy. Piccoli, agili, economici, versatili e altamente innovativi. I nanosatelliti, satelliti con dimensioni che variano da un cubo di 10 centimetri a una scatola da scarpe, negli ultimi anni stanno rivoluzionando il modo di concepire l’accesso allo spazio.
Le parole chiave del programma Alcor sono lungimiranza e sinergia: due concetti insiti nella scelta stessa del nome. Si chiama così una stella nella costellazione dell’Orsa Maggiore che, insieme alla più grande Mizar, costituisce quella che è una delle binarie visuali più famose del cielo. Chi riesce a distinguere a occhio nudo Alcor, che è la stella piccola, è considerato una persona con una buona vista. Inoltre Mizar e Alcor si completano a vicenda, dandosi reciprocamente luminosità. Ecco dunque che le missioni di Alcor sono pensate nell’ottica di essere molto innovative e vedere lontano, e allo stesso tempo di lavorare in sinergia anche con missioni di tipo tradizionale.
Su un totale di 49 proposte ricevute nell’ambito del primo bando di Alcor, l’Asi ne ha selezionate 20, sia scientifiche che applicative, da portare in fase di sviluppo e realizzazione. La prima classificata è la missione Biss proposta da Imt, un’azienda con sede a Roma e Bari tra le prime in Italia a scegliere di puntare sul settore dei nanosatelliti. Il progetto Biss prevede un innovativo servizio satellitare per la cosiddetta Internet of Things.
Moltissime le possibili ricadute tecnologiche sul nostro pianeta di queste tecnologie satellitari, dal controllo di infrastrutture nazionali come autostrade al monitoraggio ambientale. A tal proposito, i nanosatelliti basati sull’Internet of Things potrebbero anche essere un valido aiuto per contrastare la crisi climatica che stiamo vivendo.
Fino a qualche decennio fa, applicazioni di questo genere legate ai nanosatelliti erano inimmaginabili. Basti pensare che i cubesat nascono come una sorta di giocattolo altamente tecnologico, inizialmente concepito per scopi didattici. Siamo negli Stati Uniti, verso la fine degli anni ’90: Bob Twiggs e Jordi Puig-Suari, due professori rispettivamente all’Università di Stanford e all’Università Politecnica della California, decidono di utilizzare in classe dei piccoli prototipi di satelliti: i primissimi cubesat.
In quegli anni anche l’Italia, nelle aule dell’Università di Roma La Sapienza, sperimenta con il Professor Filippo Graziani, un programma di realizzazione di cubesat universitari, poi finanziati dall’Asi. In circa vent’anni le capacità italiane si sono consolidate, arrivando a progetti all’avanguardia. Ad esempio la missione LiciaCube, nanosatellite dell’Asi a bordo della missione dimostrativa di difesa planetaria della Nasa Dart, avrà il compito di immortalare il primo tentativo di deviazione di un asteroide da parte di una sonda. Oppure ArgoMoon, cubesat sempre italiano, volerà a bordo dello Space Launch System durante la missione Artemis 1 verso la Luna.