Le aziende aerospaziali hanno iniziato a fare incetta di titanio. È questa una delle prime conseguenze della crisi in Ucraina e delle sanzioni alla Russia che possiede grandi riserve del metallo le cui capacità meccaniche e di leggerezza lo rendono molto utilizzato da società come Airbus, Boeing, Rolls-Royce e Pratt&Whitney.
I motori degli aeroplani impiegano infatti percentuali di titanio intorno al 14-15% ed è impossibile farne a meno, pena ulteriori problemi produttivi per un’industria che, come molte altre, soffre la carenza di componenti e i rincari dei prezzi delle materie prime. La Russia è il terzo produttore di titanio lavorato dopo Cina e Giappone, l’Ucraina è il nono paese al mondo per riserve dunque la destabilizzazione del quadro geopolitico che riguarda queste due nazioni vuol dire un bel problema per l’industria aerospaziale occidentale. Airbus, Boeing, Embraer e altre decine di società si servono proprio dalla russa Vsmpo-Avisma, il più grande produttore di titanio mondiale con un fatturato nel 2019 di 1,63 miliardi di dollari e una produzione (titanio e ferro-titanio) di 31,2 milioni di tonnellate.
Mosca negli anni scorsi si è preparata e, seguendo le previsioni di crescita di utilizzo del titanio a livello globale da parte dell’industria aerospaziale e non solo (automotive, macchinari, navale e medica), ha investito l’equivalente di 1,29 miliardi di dollari nella cosiddetta Titanium Valley, che si trova nell’oblast di Sverdlovsk nella regione dei Monti Urali, per creare infrastrutture di estrazione e lavorazione del metallo. E proprio nella città principale di quest’area, Verchnajaja Salda, ha il suo quartier generale la Vsmpo-Avisma che fornisce da sola il 25% della produzione mondiale di titanio. Di questa, tre quarti va all’industria aerospaziale.
Molti dei contratti che legano il produttore russo alle aziende per il titanio sono stati rinnovati a novembre, in occasione dell’Airshow di Dubai. Il rischio è che, se la situazione in Ucraina dovesse precipitare e le sanzioni dovessero inasprirsi, le industrie occidentali debbano fare carta straccia di quegli accordi dovendone stabilire di nuovi, con prezzi superiori e volumi disponibili inferiori. Già in passato il governo russo aveva provato a spezzare l’asse del titanio che lega il settore aerospaziale di Europa e Usa agli Urali. Nel 2018, in risposta alle sanzioni internazionali per l’annessione della Crimea, l’esecutivo aveva proposto l’interruzione dell’export del metallo, ma il disegno di legge fu affossato dal ministero del Commercio.
Più recentemente, Washington nel 2020 ha provato ad inserire la Vsmpo-Avisma tra le aziende oggetto di restrizioni, ma vi ha rinunciato in tre settimane dopo aver valutato le conseguenze per l’industria americana. E per quanto le relazioni tra Russia ed Occidente siano costantemente peggiorate, quelle riguardanti il titanio sono rimaste anzi si sono rafforzate. Resta ora da stabilire quanto metallo le aziende interessate siano riuscite a mettere nei loro magazzini. L’agenzia Reuters ha provato ad chiedere informazioni, ma ovviamente nessuno vuole dire a quanto ammonta il titanio che ha effettivamente a disposizione. Il campanello però è già suonato e stanno già sondando le possibili alternative.
Neil Mitchill, chief financial officer di Raytheon Technologies, ha affermato di essere al lavoro per assicurare la catena di fornitura per i prossimi 12 mesi attraverso almeno altri due fornitori. La Boeing ha un contratto fresco per 20 anni che la “protegge per un po’, ma non per sempre” ha detto l’amministratore delegato, David Calhoun. L’azienda di Chicago dipende per un terzo dei suoi bisogni di titanio dalla Vsmpo-Avisma, Airbus addirittura per metà. Standard & Poor’s già lo scorso anno aveva affermato che la Russia potrebbe limitare l’esportazione di materie prime strategiche, ma ritiene anche che sia improbabile. Allo stesso modo, l’Occidente si vedrà bene dal mettere in crisi la propria industria prima di aver trovato un’alternativa.
La conseguenza certa ed immediata è che le incertezze sul titanio ne facciano alzare il prezzo con conseguenze sui voli commerciali e dunque rinforzando le dinamiche inflattive già in atto. Da questi problemi sono invece affrancate le aziende e le forniture che riguardano direttamente la Difesa, almeno per gli Usa: il Pentagono infatti li invita caldamente a evitare ogni utilizzo diretto di materie prime provenienti da paesi non certo amici come la Russia.